
Il Tour de France rimane la corsa a tappe più prestigiosa e ammirata al mondo. Dalle origini visionarie agli eroi passati, dalle maglie alle partenze internazionali, fino all’orgoglio tricolore, il Tour fonde imprese sportiva con uno spettacolo impressionante lungo le strade del giro.
La nascita del Tour de France
Il Tour de France nasce nel 1903, su iniziativa del quotidiano sportivo francese L’Auto, concepito per contrastare la supremazia del rivale Le Vélo e aumentare le vendite. Henri Desgrange, direttore della testata, propose una corsa lunga, dura, capace di attirare l’attenzione del grande pubblico. L’idea di un giro che attraversasse la Francia in tappe massacranti — 6 giornate per 2.428 km — fu rivoluzionaria.
Il successo fu straordinario: il trionfo di Maurice Garin, primo vincitore di quella che sarebbe diventata l’evento ciclistico più importante al mondo, diede immediata legittimità e fascino all’iniziativa. In pochi anni il Tour superò le traversie d’inizio secolo e diventò simbolo di resistenza, orgoglio nazionale e popolarità, anche grazie alla copertura giornalistica rigorosa, con resoconti appassionati e fotografie spettacolari. Neanche le due guerre mondiali riuscirono a fermarlo a lungo: l’interruzione servì da pausa per poi tornare rinvigorito, con corridori che incarnavano (e incarnano) l’eroismo del ciclismo.

I vincitori e l’albo d’oro
Il Tour de France ha avuto nel tempo grandi dominatori, eroi e outsider, creando un albo d’oro ricco di storie, trionfi inattesi e ciclisti indimenticabili. Dalle prime vittorie di Philippe Thys alle imprese di Louison Bobet (anche lui a quota tre), fino a leggende come Jacques Anquetil, che nel 1957 avviò il filotto dei suoi cinque trionfi tra 1957 e 1964, inaugurando una nuova era. Poi arrivarono Eddy Merkx e la sua aura di cannibale del ciclismo: 5 Tour e una supremazia che non ammetteva repliche. A lui succedette Bernard Hinault, con 5 vittorie, ultimo campione francese. Negli anni Ottanta e Novanta, l’australiano Greg LeMond (primo non europeo a vincere la Grande Boucle), poi Miguel Indurain, maestro delle cronometro e delle montagne, con i suoi 5 sigilli dal ’91 al ’95.
Il caso Lance Armstrong e i grimori del doping ha segnato un’epoca controversa: sette vittorie cancellate, un’eredità discutibile ma indelebile nel racconto mediatico. La prima decade del 2000 ha conosciuto anche Alberto Contador, due volte vincitore e simbolo di uno stile combattivo. Negli ultimi anni, la scoperta di giovani arrembanti come il britannico Chris Froome, con 4 successi, e l’attuale generazione di fuoriclasse: Tadej Pogačar, trionfatore nel 2020 e 2021; Jonas Vingegaard, vincitore nel 2022 e 2023. (CONTINUA DOPO IL VIDEO)
Le maglie del Tour de France
Una vittoria al Tour de France significa indossare – anche se solo per un giorno – un pezzo di storia ciclismo. La maglia gialla è il simbolo supremo: sulla schiena del leader della generale, ha rappresentato sin dal 1919 il potere, il prestigio e la gloria. Chi la veste siede su un trono mobile, sotto i riflettori mediatici.
La maglia verde (maillot vert) premia il leader delle volate: il più costante e spettacolare sprinter, una figura ammirata anche se distante dalla generale. Inventata nel 1953, negli anni ha visto dominare André Darrigade, Peter Sagan (7 volte consecutivamente) e Mark Cavendish.
La maglia a pois, simbolo delle montagne, veste il miglior scalatore. Da Federico Bahamontes a Rafal Majka, da Richard Virenque a Tadej Pogačar, ha un posto d’onore nel mito del Tour.
La maglia bianca, destinata al miglior giovane (sotto i 25 anni), è la bandiera dei campioni emergenti: Joop Zoetemelk, Jan Ullrich, Andy Schleck, Egan Bernal. Quest’ultimo, vincitore del Tour 2019, ne è stato un magnifico interprete.
Presenti oggi anche la maglia del team più aggressivo, la maglia rossa, e l’innovativa maglia del miglior combattente introdotta per celebrare chi anima la corsa con attacchi, azioni e coraggio.

Gli italiani al Tour
L’Italia ha una presenza indissolubile nel Tour de France. I primi protagonisti risalgono al 1911, quando Franco Giorgetti conquista una tappa e getta le prime basi, proseguite dai grandi ciclisti come Ottavio Bottecchia, primo italiano a vincere il Tour (1924-25). Bottecchia è stato un rivoluzionario, un simbolo del Giro e del Tour, e la sua vittoria diede speranza a un’Italia in ricostruzione.
Negli anni ’50 e ’60 emergono Fausto Coppi e Gino Bartali: il primo si afferma nonostante ritardi, cattive condizioni fisiche e drammi personali; il secondo fa della montagna la sua tela e conquista tappe leggendarie. Coppi vince nel 1959 e lascia un segno indelebile. Da allora, il ciclismo azzurro ha ricordato le loro imprese come capisaldi della gloria italiana.
Negli anni ’90, arrivano nomi contemporanei come Claudio Chiappucci, capace di conquistare la maglia gialla – anche se per pochi giorni – e di scalare colli famosi, diventando l’idolo scalatore del popolo. Francesco Casagrande, Maurizio Fondriest, Stefano Garzelli, “il piccolo principe” del Giro, e Danilo Di Luca segnano le tappe e le fughe inaspettate. Ma l’apoteosi italiana resta legata ai giorni di gloria di Marco Pantani, vincitore del Giro-Tour nel 1998: la sua impresa è ancora viva nella memoria collettiva, nonostante il destino controverso. Nella nuova generazione, Vincenzo Nibali ha brillato con una tappa di montagna epica nel 2014.
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