
Sembrava la storia perfetta, l’unione destinata a cambiare il destino della Ferrari: Lewis Hamilton in Rosso. Il 22 gennaio, nel gelo invernale, Maranello aveva riacceso il cuore dei tifosi. Bandiere al vento, occhi sognanti e un solo pensiero: rivedere la Scuderia in vetta, guidata da un sette volte campione del mondo. Ma a pochi mesi di distanza, la fiaba sembra già evaporata.
Cosa non sta funzionando (per ora) tra Hamilton e la Ferrari: Ivan Capelli per Sky Sport Insider#SkyMotori #F1 #Formula1 #SkySportInsiderhttps://t.co/BEeIqFA0cb
— Sky Sport F1 (@SkySportF1) April 30, 2025
A raccontarcelo, con la lucidità del cronista esperto e la sensibilità da ex pilota, è Ivan Capelli per Sky Sport F1. L’unico acuto vero di Hamilton in questo primo scorcio di stagione è arrivato nella sprint race di Shanghai. Un guizzo, un bagliore che ha ricordato per un attimo il “leone inglese”. Ma attenzione: Capelli ci invita a contestualizzare.
A Shanghai, Lewis ha corso per quindici volte, vincendo in sei occasioni. Conosce la pista come il salotto di casa: curve tecniche, traiettorie scolpite nella memoria, e una familiarità che ha fatto la differenza. Il layout cinese – con curve come la 7, la 8, e il lungo curvone 12-13 – esalta uno stile di guida pulito e preciso. Ma in seguito, quel risultato non si è più visto altrove. Perché? (continua dopo la foto)

Capelli ci porta dietro le quinte, a quel famoso tè delle cinque a Maranello dove Hamilton e Leclerc si conobbero meglio. L’entusiasmo iniziale era palpabile. Lewis sembrava rinato: “Qui ho tutto a portata di mano”, raccontava. Addio alle due ore da Brackley a Londra per uno shooting. A quarant’anni, il tempo è un tesoro. E lui voleva spenderlo bene.
Sul fronte tecnico, anche i feedback al simulatore sembravano promettenti. Entrambi i piloti Ferrari condividono uno stile aggressivo in frenata. Ma è proprio lì che il sogno ha cominciato a sfilacciarsi. Il problema? Capelli lo individua con chiarezza: la decelerazione. Il freno motore della SF25 non restituisce le stesse sensazioni che Hamilton aveva interiorizzato in dodici anni con la Mercedes. E i muscoli hanno una memoria difficile da cancellare.
Capelli, memoria storica del paddock, ripesca un paragone illuminante: Giancarlo Fisichella nel 2009. Prima duellante in Belgio con una Force India a motore Mercedes, poi smarrito a Monza su una Ferrari che non “parlava la sua lingua”. Risultato? Ritardi inspiegabili e sensibilità persa in frenata. Tutto questo assomiglia a un pericoloso dejà-vu.
Tornando a oggi, anche la sintonia tra Hamilton e Leclerc sembra già incrinata. La causa? Due filosofie opposte di assetto. Lewis vuole un retrotreno solido, ancorato, ma soffre il sottosterzo. Charles, invece, preferisce una macchina puntata sull’anteriore, dominando la percorrenza di curva per aprire prima il gas. Due visioni, due mondi, difficili da fondere. (continua dopo la foto)

Fino a oggi, Hamilton ha percorso 4.640 km sulla SF25, Leclerc 4.875. Cifre che, secondo Capelli, bastano per comprendere una vettura o almeno i propri limiti. Ma il feeling resta lontano. A Jeddah, su un tracciato ad alta velocità, Lewis ha sofferto. Ha perso tempo nei tornanti, ha faticato a portare in temperatura gli pneumatici. E alla fine della gara, il volto era eloquente: più frustrazione che desiderio di riscossa.
La pole position nella sprint di Miami, davanti a Verstappen per soli 18 millesimi, sembrava un inizio di riscossa. Ma Capelli ci spiega il contesto: meno carburante a bordo (solo 40 kg), una gomma media (la C3) che tutti conoscono a memoria, aria pulita davanti e una partenza perfetta. Ingredienti ideali, ma non replicabili nel formato “lungo” del Gran Premio.
Hamilton, racconta Capelli, ha deciso di tagliare ogni distrazione e lavorare solo su Maranello e simulatore. Sa che il tempo corre, che l’istinto del campione non può attendere troppo. Eppure, quello che manca di più è la sua spontaneità come pilota.
“Ha tutto ciò che gli serve per ritrovare sé stesso”, confida Capelli. “Deve solo tornare a divertirsi. Perché quando guidi una Rossa, ogni secondo conta. E il tempo, soprattutto in Formula 1, non aspetta nessuno”.
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