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Pietro Parolin, come e perché non è diventato Papa

La strategia vincente di Dolan e l’ascesa di Prevost

A cambiare l’equilibrio è stata la figura, finora meno centrale, di Robert Francis Prevost. Statunitense, ex missionario agostiniano, uomo dalla formazione latinoamericana, è stato sostenuto con forza da un regista abile e discreto: Timothy Dolan, arcivescovo di New York. Descritto da più fonti come un “kingmaker”, Dolan avrebbe costruito una coalizione trasversale tra Nord e Sud America, giocando sui fili della cultura comune e del linguaggio condiviso. Ma la mossa decisiva è arrivata dal blocco dei cardinali anglofoni del Commonwealth – tra cui India, Australia, Sudafrica, Tonga – un gruppo spesso compatto, capace di determinare le sorti del primo scrutinio. Grazie a questa rete di consensi, Prevost ha guadagnato terreno, fino a diventare Leone XIV.

Nel frattempo, per Parolin, il titolo di “Papa mancato” non cancella il ruolo cruciale che continuerà ad avere nel mosaico della Curia romana. La sua influenza, sebbene senza corona, resta ben salda nei gangli della macchina vaticana.

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