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Milan, senti Boban: attacco feroce alla dirigenza, “io prendevo i campioni, ma loro…”

Zvonimir Boban ha rotto il silenzio. Lo ha fatto come sempre: senza filtri, senza ipocrisie, con quella sincerità che può risultare scomoda, ma che ha sempre contraddistinto il suo stile dentro e fuori dal campo. Nell’intervista rilasciata al canale YouTube Milan Hello di Andrea Longoni, l’ex dirigente rossonero ha attaccato duramente la dirigenza rossonera. Passata e presente.

L’ex campione rossonero lo ha fatto sparando a zero sulla gestione attuale del Milan, sulla separazione da Paolo Maldini, ma soprattutto svelando un retroscena che ha del clamoroso: due colpi di mercato, Dani Olmo e Dominik Szoboszlai, che erano praticamente fatti ma non vennero mai autorizzati dalla proprietà.

“Personalmente sono andato a chiudere Dani Olmo. Era gennaio 2020. Era tutto fatto: 18 milioni più 2. Ma la società non ha voluto“. Parole pesanti, scandite con amarezza. Boban racconta di un Milan che avrebbe potuto anticipare mezza Europa sul talento spagnolo, allora in rampa di lancio alla Dinamo Zagabria. Ma non solo.

“Anche Szoboszlai era fatto. La clausola da 20 milioni col Salisburgo era pronta. Ma ancora una volta ci fu un no. E io mi son detto: ‘Ma che roba è?’”. Due nomi che oggi pesano, perché avrebbero potuto cambiare le sorti recenti del Milan. Ma il veto, interno e misterioso, cancellò tutto.

La parte più tecnica dell’intervista è quella in cui l’ex centrocampista croato analizza con lucidità la distanza – non solo di classifica – tra il Milan e i cugini dell’Inter. “Sul piano tecnico non credo che siamo così distanti. Ma sul modo di costruire una squadra funzionante sì, lo siamo. Loro sono un sistema. Noi, al momento, no”.

Boban punta il dito contro l’assenza di coerenza tattica e strategica. “Il Milan non ha identità. Il gioco non ha una logica. Se fai tre o quattro innesti intelligenti, forse puoi tornare competitivo. Ma adesso, questa, non è una squadra vera”.

C’è poi il capitolo personale, quello del ritorno in rossonero da dirigente nel 2019, quando Paolo Maldini aveva già un piede fuori. “Io lasciai la FIFA, e Paolo mi chiamò dopo l’addio di Leonardo. Era tentato di mollare. Gli dissi: ‘Tu sei più Milan del Milan stesso, non puoi andartene’. Così tornai a Milano”.

Quello fu l’inizio di una rivoluzione. “La squadra andava rifatta da cima a fondo. In sei mesi cambiammo tredici giocatori. Ma era ancora un cantiere aperto. Dopo il mercato dissi che i bambini da soli non possono giocare. In società non la presero bene, ma era la verità”.

Fu in quel momento che, secondo Boban, si gettarono le basi per qualcosa di grande. I due acquisti di gennaio, Ibrahimovic e Kjaer, furono la svolta. “Senza quei due, soprattutto senza Zlatan, quel Milan che poi ha vinto lo scudetto non sarebbe mai esistito. E Pioli, anche con idee che non condividevo, è riuscito a dare un’identità”.

I rapporti con la proprietà americana si spezzarono bruscamente nel marzo 2020, dopo l’intervista in cui Boban criticò pubblicamente l’influenza dell’amministratore delegato Ivan Gazidis. “Me ne sono andato due mesi dopo. Le ragioni le conoscono tutti i milanisti”. E quando si parla della separazione con Maldini, i toni si fanno più accesi. “È stata una pagina vergognosa, fatta in maniera vergognosa”.

paolo maldini

Infine, Boban affronta la cessione che più di tutte ha scosso il cuore dei tifosi: Sandro Tonali al Newcastle per 70 milioni di euro, o forse, come in realtà riportano i bilanci, per 54 milioni. “Paolo non lo avrebbe mai lasciato partire. Era una bandiera. Tonali non doveva andare via. Perché era milanista”. Per Boban, Tonali era un simbolo. E per un club che ha costruito la propria leggenda sulle bandiere, lasciarlo partire per un assegno, per quanto sostanzioso, resta una ferita aperta.

In fondo, l’intervento di Boban si può riassumere così: il Milan ha perso se stesso. Ha perso l’identità, la coerenza, le figure simboliche. Ha perso anche la voce interna del dissenso, quella voce che non si allinea per forza, ma che vuole costruire. Perché Boban, con i suoi toni diretti e talvolta ruvidi, questo è stato: un custode, forse scomodo, dell’anima del Milan. E quando un custode se ne va, spesso chi resta si accorge troppo tardi di ciò che ha perso.

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