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Mattarella ricoverato, cos’è e a cosa serve il pacemaker

Quando serve un pacemaker?

Ma in quali casi un medico può suggerire l’impianto di un pacemaker? Il più comune è la bradicardia, ovvero una frequenza cardiaca troppo bassa. In altre situazioni, il cuore potrebbe presentare interruzioni nel ritmo, rendendo necessario un supporto elettronico per garantire il corretto flusso sanguigno. Il primo intervento risale a diversi decenni fa, quando un cardiochirurgo a Stoccolma impiantò un pacemaker su un uomo di 48 anni che soffriva di frequenti svenimenti. Da allora, la scienza ha fatto passi da gigante, ma l’obiettivo è rimasto lo stesso: offrire una vita normale a chi, senza questo piccolo alleato, rischierebbe di fermarsi.

Tecnologia invisibile e recupero veloce: come si svolge l’intervento

L’impianto di un pacemaker non è più un’operazione invasiva come poteva esserlo in passato. Oggi si esegue in anestesia locale, ha una durata media tra i 30 e i 40 minuti, e prevede una breve degenza ospedaliera: in genere 2-3 giorni. Nella maggior parte dei casi, il paziente può essere dimesso il giorno dopo e tornare rapidamente alla sua routine.

Le complicanze? Rarissime. Secondo i dati, inferiori all’1%. La procedura prevede un periodo di riposo a letto per circa 6 ore dopo l’intervento, seguito da una radiografia toracica di controllo, come riportato dalla scheda informativa del Policlinico Gemelli. “Successivamente all’intervento di impianto di pacemaker, il paziente deve restare a letto per 6 ore, al termine delle quali viene eseguita una radiografia del torace di controllo. Le dimissioni normalmente avviene il giorno successivo all’operazione ed il paziente può tornare a casa e riprendere rapidamente la sua quotidianità”. Una procedura semplice per uno strumento sofisticato, che rappresenta una delle conquiste più brillanti della medicina moderna.

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