
È stata una notte da consegnare agli archivi del calcio mondiale. Per l’Inter un’impresa memorabile, leggendaria, in una di quelle sfide che si raccontano ai nipoti. Il 4-3 contro il Barcellona non è solo un risultato roboante: è un grido d’orgoglio per tutto il calcio italiano, spesso bistrattato ma mai domo, capace ancora una volta di prendersi la scena in Europa. Lo sottolinea Stefano Agresti in una bella analisi sulla Gazzetta dello Sport.
Quanto sta guadagnato l'Inter dalla Champions League? Nuovo record – https://t.co/OwrSpx0lGQ
— Calcio Sport (@CalcioSport44) May 7, 2025
Ricavi senza precedenti per una squadra italiana
La stagione europea dell’Inter si è rivelata un successo non solo sotto il profilo sportivo, ma anche da quello finanziario. Co… pic.twitter.com/kkB8Qv2H6T
Il paragone sorge spontaneo, e Agresti non lo evita: come Italia-Germania 4-3 del 1970, anche questa partita entra nel mito. Una serata intrisa di emozioni, colpi di scena, ribaltamenti di fronte e di risultato. E poi ci sono gli “eroi sportivi”: Lautaro stoico e letale, Sommer provvidenziale, Acerbi ringhioso e immortale, Thuram instancabile, Barella con i crampi ma con il cuore, Frattesi che riscrive il destino entrando dalla panchina.
Il Barcellona di Yamal, Raphinha e Lewandowski si è arreso, mostrando tutte le sue enormi qualità ma anche tutta la sua fragilità. L’Inter invece ha mostrato una forza leonina, mentale e fisica. Ha saputo pescare le forze necessarie per recuperare una partita che sembrava perduta, e poi altre forze ancora per affrontare e vincere i supplementari. Dopo che nel secondo tempo un evidente calo fisico sembrava avere spento la luce.

Agresti lo sottolinea con chiarezza: questa non è solo la vittoria dell’Inter, ma di un movimento calcistico che resiste. Un calcio, il nostro, che non ha i miliardi della Premier, né la potenza finanziaria di Real o Bayern, ma che sa ancora costruire squadre vere, con competenza e sacrificio.
Nel 2023 c’erano tre italiane tra le prime quattro d’Europa. Quest’anno l’Inter torna di nuovo in finale di Champions, la seconda in tre stagioni. È l’apice di un progetto tecnico lucido, dove la competenza ha contato più dei soldi: Calhanoglu, Mkhitaryan, Thuram presi a zero; Lautaro per pochi milioni, e oggi è un fuoriclasse assoluto. Uno che in campo ha un peso doppio, e questo fa la differenza.
Il merito va anche a chi ha modellato questa macchina perfetta. Agresti elogia il lavoro “sublime” del club: da Marotta a Inzaghi, passando per uno spogliatoio che è diventato una famiglia. La squadra ha lottato su ogni fronte, e se ha pagato in campionato e Coppa Italia, ora avrà la possibilità di rigiocarsi la finale più importante di tutte.
Eppure, va detto con onestà: l’Inter non è la squadra più forte della Champions. Non ha fuoriclasse come Mbappé, non ha i Bellingham né gli Haaland. Non può vantare la freschezza precoce di Yamal o l’eleganza innata di Pedri. Il paragone con certe superpotenze del calcio europeo, almeno sul piano delle individualità, sembrerebbe impari.
Ma poi scendi in campo, guardi come gioca questa Inter, e capisci che il calcio è ancora capace di premiare il gioco di squadra, l’organizzazione, la costruzione lucida e intelligente di un progetto tecnico. Sarebbe miope pensare che l’Inter sia arrivata fin qui senza un valore tecnico d’altissimo livello. Bastoni è ormai un difensore tra i migliori d’Europa per visione, piede, personalità.

Dimarco e Dumfries rappresentano due esterni che uniscono spinta e sacrificio. Il centrocampo è un tesoro nascosto, con Mkhitaryan, Calhanoglu e Barella a formare un tridente tecnico-tattico che non ha nulla da invidiare alle grandi del continente, e con riserve come Frattesi che entrano e incidono.
E poi c’è la ThuLa: Thuram e Lautaro. Il francese con la sua potenza e una tecnica eccellente. Lautaro, il capitano argentino, invece è diventato l’anima, la testa e il cuore pulsante di questo gruppo. E il Pallone d’oro, adesso, non è più un’utopia. Tatticamente, insomma, l’Inter è un’orchestra, con solisti in ogni ruolo.
Agresti non ha dubbi: Lautaro è il simbolo di tutto questo. Mezzo infortunato, è sceso in campo sei giorni dopo il problema muscolare di Barcellona e ha trascinato i suoi, gol e rigore compresi. Sempre in silenzio, senza mai alzare la voce per un contratto, sempre sul pezzo. Un campione vero, e adesso un candidato concreto al trono d’Europa.
Il 31 maggio, a Monaco di Baviera, sarà finale contro PSG o Arsenal. Ma chiunque sia l’avversario, questa Inter non tremerà. Semmai, sarà lei a far tremare gli altri. Perché, Agresti lo scrive nero su rosa, l’Inter non è forse la più forte, ma è stata la migliore. E ora vuole diventare la regina d’Europa.
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