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La qualità arbitrale in Serie A è ai minimi storici. Lo afferma Stefano Agresti in un articolo sulla Gazzetta dello Sport. Errori clamorosi e decisioni inspiegabili si ripetono con una frequenza sconcertante, rendendo evidente che qualcosa non funziona. Il problema non è solo l’inefficienza degli arbitri in campo, ma anche le scelte sbagliate al Var, che dovrebbe correggere le sviste più evidenti e invece finisce per amplificarle.
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Gli episodi più recenti di Torino-Genoa ed Empoli-Milan dimostrano come la direzione di gara non sia all’altezza: Feliciani, Di Paolo e Pairetto hanno preso decisioni che hanno scatenato polemiche, eppure gli errori non si fermano qui. Anche in Como-Juventus, il presunto fallo di mano di Gatti è stato giudicato in modo completamente diverso rispetto a episodi simili del passato.
Cesc Fabregas, ex campione con una carriera ai massimi livelli, ha giudicato il tocco di mano un rigore netto, ma l’arbitro Abisso e il Var Guida hanno deciso di non intervenire. Il problema, però, non è solo la singola valutazione, ma il caos generale: troppe interpretazioni differenti, troppa incertezza, troppa discrezionalità.
Un arbitro può sbagliare sul campo, coperto dalla posizione di un giocatore o per un’errata percezione. Ma il Var? Come è possibile che chi osserva le immagini da tutte le angolazioni possibili non veda ciò che è chiaro a milioni di spettatori? A questo punto, il problema è di competenza: chi siede davanti allo schermo ha le capacità necessarie per farlo?
Arbitri e Var, ora basta: serve la riforma
Altro nodo critico è l’interpretazione delle regole. Gli episodi di step on foot (i “pestoni”) vengono giudicati in modo completamente diverso da partita a partita. Lo stesso vale per i falli di mano: alcuni vengono puniti per un lieve tocco, altri restano impuniti anche quando evidenti. Se ne accorgono allenatori, giocatori e tifosi, ma non gli arbitri. Questo genera sfiducia nel sistema e lascia le squadre nell’incertezza.
La soluzione? Non basta cambiare il protocollo Var, serve un cambiamento radicale. Una delle idee è il “Var a chiamata“, che consentirebbe agli allenatori di richiedere un controllo in caso di decisione controversa. Potrebbe ridurre il peso degli errori arbitrali e correggere gli sbagli di chi è al monitor. Altre proposte riguardano l’uso della tecnologia anche per i secondi cartellini gialli, che spesso portano a espulsioni ingiuste.
Ma nessuna riforma avrà effetto se non si alzerà prima la qualità degli arbitri. Sono anni che si assiste a campionati segnati da errori e interpretazioni contraddittorie. La classe arbitrale andrebbe ricostruita dalle basi, le regole riscritte con chiarezza e il protocollo Var rivisto per eliminare le zone grigie. Altrimenti, stagione dopo stagione, si continuerà a parlare più degli arbitri che del calcio giocato.
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