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Sampdoria in C: dopo la stagione orribile (non solo per la prima squadra) va recuperato un patrimonio storico del calcio italiano

La Sampdoria è retrocessa in Serie C per la prima volta nella sua lunga e nobile storia. Sembra un incubo, invece è il verdetto crudele di una stagione nata storta e finita nel peggior modo possibile, tra le lacrime dei giocatori e lo sgomento di una tifoseria che, nonostante tutto, non ha mai smesso di sostenere la squadra.

Nemmeno l’ultimo atto, il pareggio sul campo della Juve Stabia, è bastato a raddrizzare una barca che affondava da mesi. È finita così: senza salvezza diretta, senza nemmeno i playoff. A nulla è servita la cura della casa, l’infusione di “dorianità” attraverso le figure di Alberico Evani, Attilio Lombardo e il ritorno simbolico di Roberto Mancini, l’uomo che da calciatore aveva scritto alcune delle pagine più entusiasmanti della storia blucerchiata.

Nemmeno suo figlio, Andrea Mancini, chiamato a ricoprire il ruolo di ds, è riuscito a invertire la rotta. La scossa momentanea tentata dal club ha illuso per qualche giornata, ma che non è stata sufficiente a rimediare ai danni combinati nei mesi precedenti. (continua dopo la foto)

Inutile anche la disperata rivoluzione di gennaio, con un mercato forsennato orchestrato da Pietro Accardi: sono arrivati nomi come Sibilli, Oudin, Cragno, Altare, giocatori che avrebbero dovuto rilanciare il club e che invece sono naufragati insieme a una squadra incapace di trovare un’identità tecnica e, soprattutto, mentale.

E poi, la follia di alternare quattro allenatori in un solo anno (Pirlo, Sottil, Semplici, Evani): un “record” che racconta più di mille analisi sulla confusione di un progetto nato senza bussola. I continui cambi in panchina, alla fine, hanno generato solo problemi peggiori di quelli che si volevano risolvere.

Ma la retrocessione dei blucerchiati non è solo un dramma sportivo. È una ferita per tutto il calcio italiano, perché la Sampdoria non è un club qualunque. È la squadra che nel 1991 conquistò uno storico scudetto con Vialli e Mancini in attacco, Boskov in panchina, una rosa leggendaria capace di sfidare e battere le corazzate Milan, Inter, Napoli, Juventus.

Una squadra che giocò anche una finale di Coppa dei Campioni, che portava in campo l’eleganza di Cerezo, la potenza di Vierchowod, la magia di Dossena, la fantasia di Lombardo. Una squadra che ha scritto poesia nel calcio sotto la guida sapiente del mai dimenticato presidente Paolo Mantovani. (continua dopo la foto)

La Samp è un patrimonio nazionale. E il suo declino, lento e implacabile, fa male a tutti. Come se non bastasse, il 2024/25 ha registrato tre retrocessioni dolorosissime: oltre alla prima squadra, anche la Primavera e la Samp Women sono scivolate nelle serie inferiori. Un crollo strutturale, il segno evidente che il male che corrode il club è più profondo della singola stagione storta.

Ripartire dalla Serie C sarà durissimo. Ma anche in questa discesa ci può essere un’occasione. Se a Genova si troverà il coraggio di ripensare il club con una visione precisa, con umiltà e passione, allora questa caduta potrà trasformarsi in una rinascita.

La Sampdoria ha visto passare campioni come Gullit, Souness, Veron, Seedorf, Francis. E oggi chiede solo una cosa: di essere guidata da qualcuno che la ami davvero e che sia in grado di risollevarla dall’inferno in cui è precipitata. Serve una rifondazione vera. Perché il calcio italiano non può permettersi di perdere la Sampdoria. E perché certi colori non meritano di sbiadire nell’anonimato delle serie minori.

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