
Il Milan “di Ibrahimovic” ha chiuso l’annata 2024-25 nel modo peggiore: a parte un trofeo minore come la Supercoppa, il campionato è terminato con l’esclusione definitiva dall’Europa, il “paracadute” Coppa Italia se l’è preso il Bologna – e al netto di qualche torto arbitrale subito i rossoneri hanno messo in campo una prestazione indecorosa – la Champions si è arenata su uno scoglio non certo insormontabile e i tifosi sono sempre più delusi.
🔴⚫️"#Tare–#Milan? Finalmente arriva un uomo di calcio: che conosce il mercato, sa come si entra in uno spogliatoio e con esperienza. Cosa che #Ibrahimovic, pur essendo stato un grande calciatore, non ha ancora"
— Radio Radio (@RadioRadioWeb) May 20, 2025
🎙️Stefano Agresti a Radio Radio Lo Sporthttps://t.co/JH9TbaxkgZ
Una stagione fallimentare che non ha risparmiato nessuno, neanche Zlatan, un tempo eroe indiscusso e ora figura opaca, forse marginale o forse no, perché in realtà non si capisce bene che ruolo occupi e con quale influenza. L’ultima volta che si è mostrato in pubblico, Ibra ha elargito una battuta rapida prima di Milan-Bologna: “Siamo pronti e preparati“.
Per il resto il nulla. O quasi. Per ritrovare un’uscita mediaticamente rilevante, bisogna risalire al prepartita di Napoli-Milan, quando aveva cercato di spiegare i motivi della sua chiacchieratissima e prolungata assenza dalle scene. In quell’occasione Ibra aveva parlato di un virus che gli aveva fatto perdere tre chili. Poi la promessa: “Sono qui per aiutare tutti, come prima, ora e in futuro”. (continua dopo la foto)

Ma, si sono chiesti i più maligni, per aiutare chi? E a fare cosa? Domande che ogni tanto rimbalzano fra tifosi e addetti ai lavori. Da lì in poi, il buio. Nessun post su X da febbraio, solo qualche traccia imprenditoriale su Instagram. Il suo silenzio è accompagnato da una domanda che aleggia da settimane: che ruolo ha davvero Ibrahimovic oggi? E che ne sarà di lui in futuro?
Va ricordato che Zlatan non è un dirigente del Milan. È un consulente della proprietà, un advisor a 360 gradi stipendiato direttamente da Gerry Cardinale. Un ruolo tanto affascinante quanto nebuloso, privo di veri confini. E, per un imprenditore come Cardinale, i consulenti si giudicano dai risultati. Che, almeno in questa stagione, non sono arrivati.
Se da un lato Ibra rimane un potente strumento d’immagine, dall’altro è parte di un assetto societario confuso, dove ruoli e competenze si sovrappongono e si annacquano. Non è un caso se Furlani ha deciso di riappropriarsi di maggiori poteri, come dimostrano i colloqui con i potenziali Ds, mentre Ibra spariva dal centro operativo rossonero.
Anche il tifo gli ha voltato le spalle. Già a dicembre, durante le celebrazioni dei 125 anni del Milan, San Siro lo aveva fischiato. Una frattura dolorosa tra il giocatore osannato e il dirigente giudicato al pari degli altri. Da lì in poi è stato un declino inesorabile, accompagnato da frasi di circostanza (“è tutto sotto controllo”) e apprezzamenti esagerati per gli acquisti del mercato di gennaio.
Come se non bastasse, c’è anche il clamoroso fallimento del progetto Milan Futuro, retrocesso in Serie D nonostante i 15 milioni investiti. Zlatan ci aveva messo la faccia, scegliendo personalmente Jovan Kirovski alla guida dell’area sportiva. Eppure, nel giorno dei playout con la Spal, Ibra non era a Ferrara: ha preferito seguire la Primavera, dove gioca il figlio Maximilian. Un’assenza che ha fatto rumore. (continua dopo la foto)

A oggi il piatto piange: nessun traguardo raggiunto, gestione incerta, troppe parole e pochi fatti. Anche Zlatan è sotto esame, come ogni altro membro del management. Perché quando una stagione si spegne in un disastro assoluto nessuno è al riparo. Nemmeno chi, un tempo, si faceva chiamare “Dio”.
Forse è arrivato il momento per Ibrahimovic di decidere davvero cosa vuole essere: un testimonial? Un manager a tempo pieno? Se no il rischio è quello di diventare un grande calciatore destinato a scoprire suo malgrado che, fuori dal campo, non è capace delle stesse magie che gli riuscivano con gli scarpini e un pallone fra i piedi.
Perché non basta essere stato un campione per trasformarsi magicamente in un bravo dirigente. Forse a Ibra servirebbe, semplicemente, un po’ di gavetta. Per imparare il mestiere e scegliere poi la propria strada.
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