
Carlo Ancelotti se ne va. Madrid lo saluta, ma senza troppi inchini. L’uscita dalla Champions League, brusca e indigesta, ha segnato la fine di un ciclo per il tecnico italiano al Real. Nonostante un palmarès che trabocca – quindici trofei in sei anni, tra cui la tanto agognata Decima – Florentino Perez ha deciso per il divorzio. E anche Carletto sa che un’era è terminata.
📞🔴⚫️IL CONSIGLIO DI #SACCHI AL #MILAN
— Milan Zone (@theMilanZone_) April 19, 2025
Ai microfoni della @Gazzetta_it, Arrigo Sacchi ha dichiarato: "Se fossi un dirigente del Milan una telefonata ad #Ancelotti la farei. Carlo sarebbe perfetto per far capire ai giocatori che cosa significa far parte di un club così".
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Lui, l’allenatore delle meraviglie, l’uomo che trasforma ogni gruppo in una famiglia. Lì, in quella Madrid abituata a bruciare anche i miti, l’addio è scritto. Resta solo da decidere che cosa fare dopo. Le strade possibili sono tre. Una porta in Brasile, dove la Seleção lo corteggia da tempo. Una porta alla pensione dorata, dopo trent’anni a macinare panchine, titoli e sorrisi. (continua dopo la foto)

E poi c’è la terza via. Quella che profuma di casa. Che parla italiano, anzi: che parla romano e milanese. Alla Roma ha spiccato il volo, con 227 presenze da giocatore e uno scudetto nel 1983. Al Milan ha costruito un impero, prima da calciatore e poi da allenatore: due Coppe dei Campioni, due Intercontinentali, e un’eredità emotiva che pesa moltissimo.
Berlusconi aveva visto lungo, quando lo immaginava già sul tetto del mondo. E aveva ragione. Non c’è più Galliani a cantargli Venditti, ma l’eco di “certi amori non finiscono” rimbalza ancora tra Trigoria e Milanello. I dubbi non mancano. A Madrid guadagna dieci milioni netti a stagione, cifra fuori portata per Roma e Milan.
Arrigo Sacchi si è sbilanciato: “Se fossi nel Milan, una chiamata ad Ancelotti la farei“. Il tecnico di Fusignano non ha dubbi: Carletto sarebbe l’allenatore giusto per rilanciare una società in crisi di identità e di risultati. Però, diciamolo, né Roma né Milan gli offrirebbero lo stesso palcoscenico di Real o Brasile. (continua dopo la foto)

Ma il cuore ha ragioni che la classifica Uefa non conosce. A Milano troverebbe un ambiente in cerca di identità italiana, magari senza Champions ma con fame vera. A Roma, i Friedkin vogliono rilanciare, anche se il fair play finanziario frena i sogni. Entrambe le squadre cambieranno guida: Conceiçao e Ranieri lasceranno spazio. Le panchine sono lì, libere. Aspettano un Messia.
Ancelotti non è solo un vincente. È uno che crea mondi. Atmosfere sane, gruppi coesi, armonie che nel calcio sembrano alchimie. E Milan e Roma, più che di moduli, oggi hanno bisogno di questo. Di un uomo che sappia riportare al centro la passione e dare un senso all’ambizione.
In fondo, lo ha detto lui stesso: “Tornerò alla Roma, sono in debito: mi ha fatto divertire”. E anche: “Il Milan ha segnato la mia vita, è la squadra del mio cuore”. Non sappiamo se sarà solo una suggestione o se davvero, tra le pieghe del destino, Carlo tornerà in Italia. Ma sappiamo che certe storie, a volte, ritornano. E allora sì, torni a casa, Ancelotti. Ovunque essa sia.
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