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Le “confessioni” di Vieira: gli scontri con Ibra, Mourinho e i Mondiali del 2006

Patrick Vieira parla con il Corriere della Sera dalla sede del Genoa, e la scena ha qualcosa di cinematografico: l’ex centrocampista che ha vinto tutto con Francia, Arsenal e Inter oggi disegna il suo futuro in panchina guardando il mare di Pegli. “È proprio bello lavorare qui” confessa, mentre gli occhi si illuminano parlando del suo progetto. A 49 anni, dopo aver conquistato Mondiale, Europeo, Premier League e scudetti, Vieira sogna una nuova impresa: “Giocare in Europa con il Genoa”.

Reduce dalla sconfitta in campionato contro il Bologna, ha appena passato il turno in Coppa Italia con l’Empoli. “Passare il turno era un nostro obiettivo, ho visto una squadra che cerca sempre la giocata e che vuole continuare a pressare” ha spiegato. “È una competizione importante: una società che vuole crescere deve essere ambiziosa e puntare ad andare avanti il più possibile”.

In Serie A, l’obiettivo resta la salvezza. “Non dobbiamo vergognarci a dirlo” afferma Vieira. “Quando sono arrivato l’anno scorso sembrava impossibile poter rimanere in Serie A. I ragazzi hanno capito subito che sarà una stagione difficile, l’atteggiamento è giusto. Pensare alla salvezza non è una mancanza di ambizioni”.

Vieira rivendica il suo stile di guida come allenatore: “Diretto e onesto. I miei ragazzi sanno che possono sempre venire nel mio ufficio per una discussione. Devo dire loro anche quello che non vogliono sentire”.

Nella sua carriera da calciatore ha avuto tecnici come Wenger, Capello, Mancini e Mourinho. “La loro qualità era essere sé stessi, non devo imitarli: Wenger era più diplomatico, Mourinho e Mancini meno” racconta. Con Mourinho, in particolare, un rapporto di franchezza: “Me ne sono andato a gennaio, pochi mesi prima del Triplete. Ma per colpa mia, non sua. Mi ha sempre detto le cose con trasparenza. Quando ci siamo rivisti, ci siamo salutati con affetto. Ora che sono dall’altra parte comprendo il suo punto di vista”. (continua dopo la foto)

Il passaggio in panchina non era nei suoi piani. “Sì, inizialmente non mi vedevo allenatore. Volevo solo fare il giro del mondo con la famiglia. Poi sono rimasto al Manchester City per due anni: i giovani mi guardavano, mi ascoltavano. Ho capito che allenare sarebbe stata la mia strada”.

La parte più dura è la distanza dai suoi figli. “I gemelli di 5 anni stanno finendo l’asilo, la figlia grande sta per compierne 14: vivono a Strasburgo in Francia” confida. “A questa età li vuoi vedere crescere. Quando sto con loro dopo diverso tempo, sento di essermi perso qualcosa”.

Con Zlatan Ibrahimovic, invece, resta un legame speciale. “Entrambi vivevamo per la competizione, anche in allenamento. Tra me e Ibra non sono mancati scontri. Ma siamo buoni amici: nel calcio non c’è niente di personale. Per alzare il livello della squadra dobbiamo essere esigenti con i nostri compagni”. (continua dopo la foto)

Vieira era in campo nella finale del Mondiale 2006, testata di Zidane a Materazzi. “Ogni tanto capita di perdere la testa. Mi dispiace per l’uomo Zidane e per noi francesi: con lui in campo, avremmo vinto. Se potessi scegliere una partita da rigiocare, sarebbe quella. Ma l’Italia avrebbe meritato nella finale dell’Europeo nel 2000”.

Sulla sua visione di allenatore aggiunge: “Non mi piace parlare del mio passato, devo essere credibile come allenatore. Ho messo il Vieira calciatore nell’armadietto, ho chiuso a chiave e l’ho buttata via”.

E sul razzismo nel calcio scuote la testa: “Combattiamo il razzismo con una t-shirt e una foto, mi sto stufando. Non si parla della mancata diversità in panchina, nel ruolo di direttore sportivo, tra i presidenti, nelle più grandi istituzioni come Uefa e Fifa. C’è bisogno di più diversità anche ad alto livello. Deve partire tutto da lì”.

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