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Vincenzo Italiano, il Profeta di Ribera: ha riscritto la storia del Bologna

vincenzo italiano

C’era una volta una pizza, una tovaglia di carta e un manipolo di calciatori di Serie D. Non era una cena qualunque, e non era un allenatore qualunque. Vincenzo Italiano, che oggi alza al cielo la Coppa Italia con il Bologna come un condottiero antico che torna vittorioso a casa, era già lì, in una pizzeria di Arzignano, a disegnare il futuro del calcio italiano con coltelli e forchette, spiegando i movimenti del regista basso usando il bordo di un bicchiere come punto di riferimento per le mezzali.

Era il 2017. Nessun riflettore, nessun trionfo. Solo la luce calda delle lampade al neon e l’odore del pomodoro che si confondeva con la voglia di imparare. Italiano, maniacale già allora, sognava calcio come si sogna un amore: intensamente, ogni notte, senza requie. Ogni venerdì, radunava i suoi ragazzi attorno a una tavolata, e al posto dei brindisi raccontava la costruzione dal basso, il pressing orientato, le rotazioni offensive. Era un rito. Una liturgia laica. Oggi, quegli stessi schemi disegnati su una tovaglia sgualcita hanno portato il Bologna sul tetto d’Italia. Una Coppa Italia che mancava da 51 anni. Un trofeo che non è solo argento, ma simbolo: della rinascita, del coraggio, della visione.

L’uomo che non dimentica da dove viene

Italiano non ha dimenticato le zolle di Ribera, la Sicilia amara e fiera, né gli inizi al Partinico Audace, dove già a 15 anni i tacchetti affondavano nel fango e nelle responsabilità. Quando esordì in Serie A col Verona, segnando un gol da 25 metri contro l’Inter, si portò dietro quella fame primordiale. Era il 2000, e il ragazzo con la faccia pulita e le idee chiare dimostrava già che la distanza tra l’ordinario e l’eccezionale si misura in determinazione.

Da calciatore era un regista di pensiero, uno che prima ancora di ricevere il pallone aveva già visto la terza opzione. Da allenatore, ha trasformato quella visione in filosofia. Le sue squadre non subiscono mai il gioco: lo impongono. Che sia Arzignano, Trapani, Spezia o ora Bologna, Italiano non accetta compromessi con la mediocrità. Il suo calcio è scienza e poesia. Le sue sedute tattiche sono leggendarie. A La Spezia, i giocatori raccontano di sessioni video di due ore dove ogni dettaglio – anche il modo in cui un terzino respira prima di scattare – veniva sezionato. A Firenze, si diceva che fosse capace di cambiare modulo tre volte nella stessa azione offensiva. Non per confondere l’avversario, ma per rendere chiara la bellezza della geometria in movimento.

Il miracolo Bologna: non solo tattica, ma anima

Quando il Bologna lo ha chiamato, molti pensavano fosse una scelta rischiosa. Ma Italiano non è uno che rifiuta le sfide. Ha trovato una squadra buona, l’ha resa memorabile. Ha preso calciatori normali, li ha trasformati in interpreti di un calcio sinfonico. Ogni partita è stata una lezione. Ogni vittoria, un capitolo. E poi è arrivata la Coppa. Un cammino fatto di coraggio e intelligenza, di partite dominate anche senza palla, di gestione emotiva che ha fatto sembrare semplice ciò che è stato epico.
Nella finale contro il Milan, l’ha vinta prima ancora che si giocasse, nella testa e nei cuori. Ha detto ai suoi: “Giocate liberi. Senza catene, senza rimpianti.” È stata la chiave.

La cosa straordinaria è che continua a comportarsi come se fosse ancora in quella pizzeria di Arzignano. Il suo taccuino è lo stesso. La sua fame è la stessa. L’unica cosa che è cambiata è che ora tutta Italia lo guarda. E lo applaude. In un calcio spesso dominato da frasi fatte e pressioni tossiche, Vincenzo Italiano rappresenta un’alternativa luminosa: l’idea che si possa vincere restando fedeli a sé stessi, che la bellezza e il lavoro possano coesistere, che una tovaglia di carta possa contenere il progetto di un impero. E se oggi il Bologna festeggia, è perché quell’uomo ha creduto che anche un sogno spiegato tra un trancio di margherita e una birra media potesse diventare storia.

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