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Sta per donare gli organi quando accade l’impensabile: choc in sala operatoria

Tra coma e prelievo: i confini ambigui della donazione dopo morte circolatoria

Uno dei nodi centrali riguarda la donazione dopo morte circolatoria, una pratica sempre più frequente. Il paziente, non cerebralmente morto, viene staccato dai supporti vitali; se il cuore si ferma entro due ore, gli organi sono considerati idonei. Questa procedura copre circa un terzo delle donazioni nel Paese, ma i margini d’errore sono sottilissimi.

Ne è prova la vicenda di Misty Hawkins, ricoverata in coma profondo a 42 anni. Dopo 103 minuti dallo spegnimento del respiratore, i medici la dichiarano morta. Ma quando il chirurgo le apre il torace, il cuore batte ancora. L’intervento viene bloccato, ma Misty muore poco dopo. L’ospedale in Alabama dove è avvenuto il fatto ha affermato di aver seguito il protocollo, che prevede cinque minuti senza battito prima di procedere.

Anche Anthony Hoover, vittima di overdose nel 2021, è quasi finito sul tavolo operatorio: “Piangeva mentre cercavano di prelevarne gli organi”, racconta il Times. Si è salvato, ma con danni cerebrali permanenti. Secondo il neurologo Wade Smith dell’Università della California, “questi casi sono molto più frequenti di quanto possiamo immaginare”.

Tra pressioni, statistiche e tempistiche spietate, la linea che separa la vita dalla morte appare sempre più sfumata. Un sistema che, mentre salva vite, rischia – a volte – di spegnerle troppo presto.

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