
Ci sono squadre che non dovrebbero mai scomparire dai palcoscenici che contano. Squadre che rappresentano un’identità, un popolo, una città. La Sampdoria è una di queste. Eppure, oggi ci troviamo a raccontare una realtà che ha il sapore amaro del paradosso: la Sampdoria, la squadra dello scudetto, delle notti europee, dei gol di Vialli e Mancini, è in Serie C. Non è solo una retrocessione, è un colpo al cuore della sua gente.
Dal sogno europeo all’incubo Serie C: la caduta della Samp
Nel 1991 la Sampdoria salì sul tetto d’Italia. Un’impresa irripetibile, scolpita nella storia del calcio. Un tricolore cucito sul petto con l’orgoglio di chi aveva costruito una favola, passo dopo passo, sotto la guida paterna e geniale di Vujadin Boškov. Quella squadra era poesia in movimento: Gianluca Vialli e Roberto Mancini, i “gemelli del gol”, incantavano gli stadi. Dietro di loro, la regia silenziosa di Toninho Cerezo, la forza di Attilio Lombardo, l’eleganza di Pietro Vierchowod. In porta, il giovane Gianluca Pagliuca chiudeva ogni spiraglio.
Quella Sampdoria non si fermò allo scudetto. L’anno dopo sfiorò la gloria eterna: la finale di Coppa dei Campioni a Wembley, persa contro il Barcellona di Cruijff solo ai supplementari. Una notte che ancora brucia, ma che testimoniava ciò che la Samp era diventata: una grande d’Europa.
Il cuore di quella Samp batteva anche fuori dal campo: il presidente Paolo Mantovani, mecenate illuminato, fu l’artefice del miracolo blucerchiato. Alla sua morte, la squadra perse la rotta. Ci furono anni buoni, come il ritorno in Champions nel 2010 con Delneri in panchina e la coppia Pazzini-Cassano in attacco. Ma furono solo lampi in un cielo che andava coprendosi.
Tra cessioni dolorose, gestioni discutibili e crisi societarie, la Samp ha vissuto un lento ma inesorabile declino. E ora eccola qui, per la prima volta dopo 45 anni, a dover affrontare l’inferno della Serie C. Un dolore che spezza il cuore, soprattutto pensando ai campioni che hanno indossato quella maglia gloriosa: Enrico Chiesa, Vincenzo Montella, Ruud Gullit, Clarence Seedorf, Trevor Francis, David Platt, Antonio Cassano, fino ai più recenti Fabio Quagliarella ed Emil Audero.
Ripartire da zero, con orgoglio
La Serie C non è solo una retrocessione. È uno strappo, un’umiliazione, un trauma per un’intera tifoseria che ha sempre accompagnato la squadra con una passione rara. I tifosi della Gradinata Sud, quelli che cantano sotto la pioggia e accendono Marassi come un tempio, non meritavano questo.
Eppure, proprio loro saranno la chiave della rinascita. Perché la Sampdoria non è una squadra qualunque. È una fede. È la Lanterna che si riflette nel mare. È il suono delle onde che si mescola ai cori di Marassi. È l’eleganza della maglia blucerchiata, unica al mondo. È la dignità che non si piega, nemmeno davanti all’abisso.
La Serie C può essere l’inizio di una nuova storia. Dolorosa, sì, ma anche piena di possibilità. La storia insegna che la nobiltà può cadere, ma non perde mai la sua essenza. La Sampdoria è ferita, ma non è finita. Serve visione, serve amore, serve rispetto per la sua storia. Serve gente che conosca il valore di quella maglia e sappia trasmetterlo. Perché la Samp non è dove è caduta, ma dove saprà rialzarsi.
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