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Milan alle prese con il “mistero Gimenez”: e anche i tifosi si fanno una domanda

C’era una volta Santiago Gimenez, l’uomo da un gol ogni 75 minuti. Cannoniere implacabile a Rotterdam, idolo della De Kuip, macchina perfetta nel campionato olandese dove la difesa è spesso un concetto vago e la profondità un invito a nozze. Ma quello era il Feyenoord. E questo è il Milan. Un altro mondo. Un altro calcio.

E allora la domanda, brutale ma necessaria, si fa largo anche tra chi aveva salutato il suo arrivo con l’entusiasmo dei nuovi amori: “Ma Gimenez è davvero un attaccante da Serie A?”. L’inizio era stato da poster: assist all’esordio in Coppa Italia, gol al debutto in campionato, gol alla prima da titolare a San Siro. Tutto sembrava scritto nel destino: il nuovo bomber era arrivato.

E invece, dopo i primi applausi, è calato il silenzio. Un gol a Empoli – splendido, sì – e poi una deviazione facile facile su assist di Leao. Poi? Più nulla. Non è solo una questione di reti. È la presenza a mancare, quella sensazione da numero 9 che deve essere costante spina nel fianco, che si fa trovare, che spaventa.

Gimenez invece si è rarefatto, intrappolato in una manovra che richiede dialogo, connessioni, movimenti a venire incontro, smarcamenti intelligenti. Cose che in Olanda poteva evitare. Ma in Italia no. E si vede la differenza.

Le statistiche sono una lama fredda: da 7,7 a 4,4 giocate nell’area avversaria; da 1 a 0,4 occasioni create; da un gol ogni 75 minuti a uno ogni 256. Nel frattempo il messicano è più coinvolto nella manovra, ma meno efficace davanti alla porta. Il paradosso è servito: si cerca di completarlo come giocatore, ma così facendo si perde ciò che aveva di più puro. Il killer da area piccola, il predatore istintivo.

Il Milan lo ha pagato 28,5 milioni: ogni rete segnata finora ne è costata 9,5. E se il bilancio non migliora, le domande diventeranno pressanti. Non c’è solo da aspettare, c’è da capire dove e come farlo rendere. Perché il problema non è Gimenez in sé, ma il Gimenez in questo Milan, così ibrido, in cerca di un’identità, di un gioco fluido e coerente.

Dall’ultimo gol sono passate otto partite. Nelle ultime quattro è partito tre volte dalla panchina. E ora arrivano due test veri: Atalanta e Inter. Difese che non regalano metri, uomini che non concedono tempo. È lì che capiremo se Santi può diventare grande anche qui, o se il calcio italiano lo respingerà come un corpo estraneo.

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