“Ho deciso di ritirarmi, non è stata una decisione facile. Sono un ragazzo di Torino che voleva realizzare il sogno di giocare con la sua squadra del cuore. Non potevo accettare altre offerte”. Claudio Marchisio, a 33 anni, lascia il calcio. Lo fa dalla sala “Gianni e Umberto Agnelli” dell’Allianz Stadium, la casa della Juventus, la sua casa. “Non so cosa farò – racconta visibilmente commosso guardando la sua famiglia, seduta ad ascoltarlo in prima fila – , negli ultimi anni ho portato avanti attività extracalcio, ma non mi precludo niente. Non so se farò l’allenatore o qualche altra cosa. E’ giunto il momento di staccarmi, di prendere un po’ di tempo per la mia famiglia”. Complice anche una serie di infortuni: “Ho vissuto un’estate difficile, il mio corpo non reggeva più”.
Una vita in bianconero
Sette scudetti, tre supercoppe italiane, quattro coppe Italia. Un palmares notevole, completato dalla vittoria del campionato russo con lo Zenit San Pietroburgo. Una bacheca inaugurata nella stagione 2006-2007, quella post Calciopoli, con la Juventus in Serie B. Quel campionato, mal digerito dal tifo bianconero, è servito a Marchisio per spiccare il volo. Il suo contributo al calcio professionistico è iniziato allora, mentre il rapporto con la Vecchia Signora affonda le radici nel 1993. Quando veste per la prima volta la maglia bianconera, a 7 anni. Facendola diventare una seconda pelle.
A 20 anni gioca 25 partite in B con la squadra di cui è tifoso. La Juve vince il campionato e torna in A, ma il nuovo corso vuole vincere subito e quindi decide di mandare Marchisio in prestito all’Empoli. Con lui, un altro prodotto del vivaio e compagno del centrocampista in tutto il settore giovanile: Sebastian Giovinco. Trascinano la squadra di Cagni, sfiorando la salvezza, ma la loro stagione non passa inosservata e vale il ritorno a casa. La Formica Atomica ci resterà fino al 2010, per poi tornare nel 2012 dopo la parentesi di Parma. Il Principino, invece, vestirà bianconero fino al 2018, vincendo tutto il possibile in Italia.
I rimpianti sono pochi, ma pesanti. Sono geolocalizzati a Berlino e Cardiff, teatro delle due finali di Champions League perse contro Barcellona prima e Real Madrid poi. Anche in Nazionale non raccoglie quanto seminato: gioca due Mondiali, Sudafrica 2010 e Brasile 2014, dove l’Italia non supera la fase a gironi.
Marchisio e lo stile Juve
Lacrime europee a parte, per i tifosi bianconeri Marchisio è l’essenza della juventinità. Rappresenta uno dei giocatori più importanti, più attaccati alla maglia, di quelli la cui percezione sfocia nel concetto più alto di “bandiera”. È uno dei simboli del nuovo ciclo vincente, quello degli otto-scudetti-consecutivi.
Della rinascita, che ha una data di inizio precisa: il 2 ottobre 2011, quasi otto anni fa esatti. E il numero delle primavere trascorse da allora, lo stesso che Marchisio si porta sulle spalle, finisce nel tabellino dei marcatori nel primo Juventus-Milan giocato allo Stadium. La decide lui, con una doppietta messa a segno nei minuti finali. Sulla panchina bianconera c’è Antonio Conte, su quella rossonera c’è Massimiliano Allegri. Con quei tre punti, il primo stacca il secondo e raggiunge l’Udinese in vetta. Alla fine del campionato, Marchisio e compagni chiudono con quattro punti di vantaggio sulla squadra di Ibra, per la prima volta incapace di vincere un campionato. La Juve, dopo il settimo posto dell’anno precedente, trionfa senza mai perdere una partita.
Cambiano i gradi, ma il soprannome resta (Federico Balzaretti lo trasformerà in “Piccolo Lord”) soprattutto per il suo comportamento, mai sopra le righe. Instancabile in mezzo al campo, elegante e glamour fuori dallo spogliatoio, una volta posato il borsone. Si sposa ad appena 22 anni (in pieno stile Juve) con l’attuale compagna Roberta che gli dà due figli. Niente paparazzate, niente prime pagine sui giornali scandalistici.
Oltre il pallone c’è di più
È un gentiluomo quello che oggi, a 33 anni, lascia il calcio. Una scelta non scontata, suggerita da ginocchia malconce, ma soprattutto dalla testa. Sì, perché uno come lui potrebbe ancora ritagliarsi dello spazio, magari in squadre e in campionati minori, più esotici di quello russo. Ma lasciare un bel ricordo di sé in campo è l’obiettivo di chi ha una visione completa di ciò che è stato e di ciò che vuole diventare, magari dietro a una scrivania. Ed è difficile dargli torto, perché Claudio Marchisio non è mai stato solo un calciatore. Consapevole della sua dimensione pubblica, ha affiancato ai palleggi e alla tattica gli spot in tv, gli shooting per le foto delle riviste di moda e un’attività social decisamente controcorrente nell’universo del pallone. Tutto con estrema naturalezza e onestà.
Scorrendo il suo account Twitter si notano post sugli incendi in Amazzonia, su Silvia Romano, sui migranti. Qualche anno fa ha appoggiato la campagna dell’Unhcr, l’Agenzia Onu per i Rifugiati. Una scelta coraggiosa, che ha aumentato il numero degli hater, ma anche quello dei suoi personali tifosi. Anche fuori dal mondo del calcio.
Marchisio appende le scarpe al chiodo, lo fa nel suo stadio, a casa sua, nel suo mondo. La location emotiva è la sala “Gianni e Umberto Agnelli”, la stessa in cui è stato presentato Cristiano Ronaldo. Quella delle grandi occasioni, insomma. Intitolata a due persone che per Marchisio hanno significato molto, soprattutto l’Avvocato. Ricordato proprio su Twitter in occasione dell’anniversario della sua scomparsa, qualche settimana fa.
Ero alto quanto un tavolino, magro magro e super emozionato. Ricordo bene la prima volta che strinsi la mano dell’Avvocato, era appena iniziata la mia storia in bianco e nero, e da quel momento capii che avevo una responsabilità.
Sipario.