
Pietro Parolin, come e perché non è diventato Papa. Nel silenzio carico di attesa che accompagna ogni Conclave, il mondo cattolico trattiene il respiro. Ogni volta che le porte della Cappella Sistina si chiudono dietro ai porporati, si apre un momento di transizione carico di significati: non si tratta solo dell’elezione di un nuovo Papa, ma della direzione che la Chiesa intende prendere. Dopo la morte di Francesco, l’incertezza ha dominato le giornate dei fedeli, degli osservatori e dei media internazionali: chi sarà la nuova guida spirituale? Quale volto incarnerà il prossimo capitolo della cristianità? In quelle ore sospese, ogni indizio, ogni gesto, ogni biografia dei papabili è stata setacciata alla ricerca di un segno. E uno dei nomi più forti, almeno all’inizio, era uno solo: Pietro Parolin. (Continua a leggere dopo la foto…)

Pietro Parolin e il sogno interrotto del conclave
Tra le navate immaginarie del potere vaticano, Pietro Parolin era visto da molti come il candidato perfetto: diplomatico raffinato, uomo di sintesi, figura sobria ma autorevole. A Schiavon, suo paese natale in provincia di Vicenza, già pregustavano l’annuncio. Parolin è stato per anni il volto della diplomazia vaticana, colui che ha tessuto dialoghi impossibili, incluso l’accordo storico – e controverso – tra la Santa Sede e la Cina. Per questo, la sua nomina a Presidente del Conclave è sembrata a molti un passaggio quasi profetico, un preludio a un pontificato annunciato. (Continua a leggere dopo la foto…)

Il voto che si sgretola: le ombre sul candidato veneto
Ma nel Conclave, l’apparenza inganna. Secondo indiscrezioni provenienti dal Sacro Collegio, Parolin avrebbe inizialmente raccolto circa cinquanta voti, un numero significativo ma insufficiente a raggiungere il quorum. La sua figura ha cominciato a indebolirsi rapidamente, penalizzata da due fattori chiave: le critiche sul suo comportamento giudicato “distaccato” durante le cerimonie pre-Conclave e il peso crescente delle contestazioni all’accordo con Pechino. In particolare, diversi cardinali africani e asiatici avrebbero rifiutato il suo nome, giudicando troppo morbida la sua posizione verso la leadership cinese. Così, il favorito della vigilia ha visto sfumare i consensi già al terzo scrutinio.
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