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Edoardo Bove, prima il malore in campo e poi la cattiveria sui social

Edoardo Bove, sui social commenti al veleno: totale mancanza di empatia

“Perché quando vi sentite obbligati a scrivere ‘Al di là dei colori…’ disumanizzate la vita, sottoponendola al credo calcistico, quando polemizzate sul perché la partita è stata interrotta, togliendovi il sollazzo domenicale da godere sul divano, prima di riprendere la vostra triste – non può essere altrimenti – quotidianità, avete aperto la botola dell’abisso, e quando indugiate sulle cause alludendo alla possibilità che sia stato vaccinato vi iscrivete di diritto alla feccia dell’umanità”, ha tuonato Caremani, per poi puntare il dito contro i social media manager che hanno gestito male il caso Bove. Si sta parlando di un malore, di vita vera, di un ragazzo che avrebbe potuto non riprendersi più. “Sono stati pochi i social media manager delle squadre professionistiche italiane che si sono distinti per pathos ed eleganza. Gli altri? Alcuni non pervenuti per ore come se la cosa non li riguardasse, pronti però a polemizzare grevemente a parti invertite anche per cose assolutamente insignificanti, altri incapaci di pubblicare la foto di Bove con la maglia della sua attuale squadra, la Fiorentina, probabilmente timorosi di eventuali commenti e pavidi nel pensare di doverli gestire o censurare, perché, purtroppo, all’abisso, in questi casi, non c’è mai fine”, prosegue l’editorialista, che si sarebbe aspettato un atteggiamento di maggiore empatia vista la drammaticità dell’evento. (continua a leggere dopo le foto)

Tra no-vax, tifosi violenti e… sui social l’abisso

“Mi sarei aspettato un atteggiamento diverso, più coraggioso, più empatico, per non perdere anche l’ultimo briciolo di credibilità in un lavoro che, troppo spesso a mio insindacabile parere, solletica la pancia del tifo peggiore per rispondere a quel fabbisogno dipendente, e tossico, delle vanity metrics, per sentirsi e far sentire i follower parte di una tribù che ogni sette giorni, a volte ogni tre, si mette in faccia gli stessi colori, le stesse grinte, ghigne e musi (sto citando De André, per chi non lo sapesse), per ululare contro loro stessi, cioè persone che vestono colori diversi ma spinti da identici, brutali, sentimenti, con lo scopo unico della vittoria che metaforicamente diventa la sopraffazione dell’avversario”, ha scritto Caremani, esprimendo tutto il suo disprezzo. Per lui siamo ad un punto di non ritorno: “‘Al di là dei colori…’. Ecco, al di là dei colori calcistici… c’è l’abisso”, l’amara conclusione.

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