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Antonio Conte contro Beppe Marotta: lotta fra titani (e niente buonismi)

È tornato il duello tra Beppe Marotta e Antonio Conte, e per una volta tanto vale dirlo: evviva. Va apprezzata una rivalità vera, aspra, persino scomoda, che risalta in un’analisi molto interessante di Massimiliano Gallo sul Corriere dello Sport. In un calcio italiano sempre più ovattato, dove ogni dichiarazione è filtrata da uffici stampa e frasi prefabbricate, i due ex compagni di viaggio – oggi nemici sportivi – hanno riportato un po’ di sale nel panorama mediatico.

Si conoscono dai tempi della Juventus, si sopportano poco e si punzecchiano spesso. Da un anno è una guerra dialettica continua, giocata a colpi di battute e di frecciate. E i recenti “orrori arbitrali” hanno riacceso la tenzone.

Conte e Marotta incarnano due scuole di comunicazione opposte: uno diretto come un gancio al fegato, l’altro sottile come un colpo di fioretto. Ma entrambi sanno che il calcio moderno è anche spettacolo verbale. In Inghilterra lo chiamano mind game, e prima di loro ne erano maestri Brian Clough e José Mourinho. Oggi, in Italia, il ring è tutto loro.

Il presidente dell’Inter gioca di fino. Ha il tono calmo, il linguaggio forbito e un’abilità quasi chirurgica nel dirigere il dibattito pubblico. Dopo la sconfitta con il Napoli di Conte, Marotta è apparso in tv con aria serafica, sostenendo di voler parlare “per il bene del calcio italiano”. In realtà, come sottolineano molti, l’obiettivo era un altro: condizionare il rivale e orientare la narrazione. È la sua specialità. (continua dopo la foto)

Appena insignito della laurea honoris causa, Marotta incarta la polemica come una caramella: elegante, zuccherata, ma con un retrogusto velenoso. E chi lo conosce sa che ogni parola è studiata, ogni apparente bonomia calcolata al millimetro.

Antonio Conte, invece, non conosce mezze misure. È il Carlos Monzon della parola, diretto, aggressivo, istintivo. Quando parla, colpisce per ferire. Dopo il 3-1 inflitto all’Inter, si è tolto parecchi sassolini dalla scarpa. Ha definito Marotta “il dirigente che fa l’escalation”, ricordando anche che l’Inter “avrebbe dovuto vincere di più” negli ultimi anni.

E poi quella frase velenosa sui suoi ex giocatori: “Ho portato al successo calciatori che non avevano mai vinto nulla”. Un colpo frontale a Lautaro Martinez, ma anche un modo per riaffermare la propria superiorità tecnica e mentale.

Fra Conte e Marotta una rivalità vera

Marotta e Conte si conoscono bene. Troppo bene. Fu proprio Marotta a volerlo all’Inter, sacrificando Spalletti pur di affidargli il progetto nerazzurro. E aveva ragione: con Conte si vince. Ma si soffre anche. Durante quei due anni insieme, Marotta dovette imparare a sopportarne gli eccessi, i silenzi, le esplosioni. Un allenatore totale, che consuma chi gli sta accanto ma lascia sempre il segno.

Oggi, ognuno difende il proprio regno e nessuno dei due ha intenzione di arretrare. È la lotta tra due vincenti, due ego troppo grandi per condividere la stessa stanza. E per quanto irriti qualcuno, è proprio questo tipo di rivalità a ridare un po’ di vita al nostro calcio, troppo spesso impantanato nella diplomazia del nulla.

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