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Al via i Mondiali. Senza la giocatrice più forte

Ada Hegeberg

Come giustamente hanno fatto notare sue colleghe e addette ai lavori, se Cristiano Ronaldo o Lionel Messi rinunciassero ai Mondiali tutti ne parlerebbero. Tutti si chiederebbero perché, proporrebbero teorie, si scatenerebbero opinionisti di ogni genere e si infiammerebbero i social. Invece l’annuncio del ritiro di Ada Hegeberg dai Mondiali di calcio femminili che si disputano a partire da oggi 7 giugno in Francia, ha preso in contropiede solamente qualcuno.

Non è la scoperta dell’acqua calda che il calcio sia ancora universalmente considerato uno sport dignitoso solo nell’accezione maschile. In Italia in modo particolare (abbiamo una nazionale femminile che negli ultimi anni è stata fenomenale, e una maschile che non si è nemmeno qualificata ai Mondiali, per intenderci, ma si parla delle prime solo per eventi eccezionali). Invece prese di posizione come quella di Ada Hegeberg non si possono ignorare: devono far pensare e rivalutare la questione del calcio femminile a livello mondiale.

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Ada Hegeberg e la scelta di non partecipare ai Mondiali

La campionessa è con ogni probabilità la più forte giocatrice di calcio del mondo. Primo Pallone d’Oro femminile nel 2018 (e anche in occasione della consegna del premio il presentatore Martin Solveig non ha potuto trattenere una spiritosaggine di stampo sessista), negli ultimi anni ha accumulato tutti i premi e riconoscimenti possibili, ha battuto record di goal, ha portato la sua squadra, l’Olympique Lione, alla vittoria del quinto campionato consecutivo. Insomma, Ada Hegeberg è un fenomeno. Eppure decide di rinunciare a un’occasione tanto grande come giocare ai Mondiali come attaccante della sua Norvegia, per una questione di parità di genere. Per far luce sul diverso (diversissimo) trattamento che spetta alle donne nel calcio rispetto agli uomini.

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Non solo un terrificante gender gap – che solo la Norvegia, per l’appunto, ha deciso di colmare livellando i salari dei calciatori e delle calciatrici. Ma in generale le condizione precarie delle giocatrici, quasi ovunque non contrattualizzate come professioniste. I minori investimenti nel calcio femminile – che continuano a mantenere ben solido il proverbiale soffitto di cristallo. Le minori opportunità che hanno le ragazze di fare del calcio la loro professione. In paesi dove l’eguaglianza tra i generi è più avanzata il tema è già piuttosto discusso, ma in altri (Italia in primis) siamo agli albori della conversazione.

Ada Hegeberg non è l’unica, naturalmente, a pensarla così. Uefa si sta impegnando in un progetto che mira a dare più attenzione al calcio femminile (#TimeForAction). Pochi mesi fa le calciatrici statunitensi hanno fatto causa alla loro stessa federazione per una discriminazione di genere che definiscono ‘istituzionalizzata’. La campionessa spera che la sua assenza possa favorire la discussione su un tema che le atlete sentono molto forte, ma tutto il mondo che gira attorno a loro, evidentemente, ancora no.

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