Nella puntata del 6 novembre di Dritto e Rovescio, Paolo Del Debbio ha deciso di andare dritto al punto. Nessun giro di parole, nessun filtro televisivo: il conduttore, noto per la sua schiettezza, ha posto una domanda che ha gelato lo studio e lo stesso ospite, il generale Roberto Vannacci. “Prenderebbe a calci nel sedere questi militanti?” ha chiesto, riferendosi ai giovani di Gioventù Nazionale che a Parma si sarebbero resi protagonisti di cori e gesti inneggianti al fascismo.
La domanda, ispirata a un precedente commento del ministro Guido Crosetto, ha spostato l’attenzione dal piano politico a quello etico e personale, chiedendo al generale una presa di posizione netta.


Vannacci evita la risposta diretta e parla di “orgoglio delle radici”
La replica di Roberto Vannacci non è arrivata subito. Il generale, anziché rispondere con un sì o un no, ha scelto di ampliare il discorso, spostandolo sul tema della cancel culture e della difesa delle radici occidentali. “Sono orgoglioso della nostra storia, della nostra civiltà e delle nostre radici. La storia non si può cancellare”, ha dichiarato, evitando però di esprimere una condanna diretta ai militanti coinvolti.
Una risposta che ha spiazzato Del Debbio, il quale ha insistito ricordando che l’apologia di fascismo è reato in Italia e che la legge Mancino vieta qualsiasi forma di esaltazione del regime.
Il nodo giuridico e la sentenza della Cassazione
Il dibattito si è rapidamente spostato sul piano giuridico. Vannacci ha citato una recente sentenza della Cassazione del 2024, secondo la quale il semplice gesto del saluto romano o altri simboli fascisti non costituiscono reato, a meno che non siano finalizzati alla ricostituzione del partito fascista o non rappresentino una minaccia per l’ordine pubblico.
Del Debbio, dal canto suo, ha ricordato che la Costituzione italiana vieta espressamente la ricostituzione del partito fascista e che simili manifestazioni rappresentano comunque un pericolo morale e culturale. Il confronto è diventato sempre più acceso, tra visioni opposte di ciò che può o non può essere considerato libertà di espressione.
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