
Una frase che pesa come un macigno, soprattutto se pronunciata da chi, come Marcell Jacobs, è abituato a vincere correndo più veloce degli altri. E invece stavolta la corsa l’ha dovuta rallentare. Per guardarsi dentro. Per rispondere con sincerità e lucidità alle domande sul caso di spionaggio che ha coinvolto Giacomo Tortu, fratello e manager di Filippo, compagno in azzurro e rivale sui 100 metri.
Marcell Jacobs, a "Belve", parla delle spiate del fratello di Filippo Tortu con rammarico. "Se dovessi scoprire che lui sapeva sarebbe una bella batosta personale e per tutta la squadra: ci sentiamo dei fratelli. Ormai già qualcosa (e più) si è rotto… pic.twitter.com/rieIpLxCXT
— TERRANOSTRA NEWS (@terranostranews) April 30, 2025
Lo fa davanti alle telecamere di Belve, il programma di interviste di Francesca Fagnani, in onda stasera su Rai2. E le parole, come i ricordi, graffiano. Jacobs non ci gira intorno. La notizia dell’inchiesta della Procura di Milano lo ha scosso profondamente: “Una notizia che mi ha un po’ sconvolto, non me lo sarei mai aspettato”.

Parla di violazione della privacy, del fastidio profondo nel sapere che qualcuno poteva aver dubitato di lui: “Pensavano che magari io utilizzassi doping… il fatto che abbiano violato la mia privacy è la cosa che mi ha veramente dato più fastidio”.
Ma è sul nodo più delicato che Jacobs è netto: “Filippo, per come lo conosco, non potrei mai pensare che fosse a conoscenza di questa cosa”. Un’idea che vuole tenere lontana, quasi a protezione della staffetta, della squadra, di un legame: “Se dovesse emergere che Filippo sapeva, sarebbe una batosta. Per me. Per tutta la staffetta”.
La domanda più tagliente è anche quella che lo mette più in difficoltà. Jacobs tentenna solo per un attimo, poi risponde: “Non penso che Filippo abbia licenziato il fratello… è il fratello…”, ma poi, dopo un lungo silenzio, aggiunge con un amarezza: “Io l’avrei fatto”. Una frase che apre una crepa nel futuro del rapporto umano tra i due velocisti: “Non l’ho ancora visto. Sicuramente ci sarà un po’ di imbarazzo”.

Il campione si racconta anche oltre la pista, in uno dei momenti più toccanti dell’intervista. Parla della sua infanzia difficile, dell’assenza del padre, della solitudine: “Mentivo a me stesso e agli altri. Dicevo che mio padre era un supereroe. Ma soffrivo. Alle elementari disegnavo solo mia madre”. Il primo incontro col padre, a 12 anni, fu vuoto: “Non ho provato niente. Era uno sconosciuto”. Poi, la svolta, poco prima di Tokyo: “Ho abbattuto quel muro. È lì che nasce il Marcell Jacobs che ha iniziato a vincere”.
Ora, in attesa che le indagini facciano chiarezza e che le responsabilità, se ci sono, vengano accertate, Marcell Jacobs si è aperto davanti alle telecamere. E delle sue parole, questo è certo, si discuterà a lungo.