
C’è un silenzio che pesa più di qualsiasi parola. È quello che da cinque anni accompagna Roberta Carassai, la madre di Alessandro Venturelli, scomparso nel nulla il 4 dicembre 2020. Da allora, di lui non si sa più nulla. Nessuna traccia, nessun avvistamento certo, solo domande che bruciano e una speranza che rifiuta di spegnersi. Sabato 4 ottobre, a Roma, Roberta ha alzato ancora una volta la voce durante la manifestazione “Scomparsi, non sepolti”, organizzata dall’associazione Nostos, da lei stessa fondata.

Una bara vuota al centro della piazza: il simbolo di chi non ha più un volto né un corpo
Nella piazza, davanti a centinaia di persone, una bara lasciata aperta. Un’immagine forte, dolorosa, simbolo di tutti quei figli scomparsi di cui non si conosce più il destino. Nessuna certezza di morte, nessuna prova di vita. Accanto a Roberta c’erano altre famiglie che condividono la stessa ferita: i genitori di Giacomo Solinas, Marco Benso, Riccardo Branchini e Tulio Rossi, tutti ragazzi spariti nel nulla.
L’obiettivo dell’incontro era chiaro: ricordare a tutti, soprattutto alle istituzioni, che dietro ogni nome scomparso c’è una storia, una vita, e un dolore che non si può archiviare. “Alle è stato cercato solo da noi familiari – ha detto Roberta –. Non ci arrenderemo mai, ma le istituzioni devono capire che la nostra battaglia non può essere combattuta da soli”.

Cinque anni di silenzi e tre richieste di archiviazione
La madre di Alessandro non ha mai smesso di lottare. Ma le sue parole hanno un peso amaro: “È la terza richiesta di archiviazione del caso. Siamo ancora in attesa della decisione del giudice”. La prima denuncia risale al giorno della scomparsa: Alessandro, allora ventunenne, viveva un periodo di grande fragilità. Nei giorni precedenti aveva confidato alla madre di sentirsi “manipolato”, “spaventato da qualcuno”, ma non riuscì mai a dire chi fosse a metterlo in quella condizione.
“Ho raccontato tutto agli investigatori, ma nessuno ha approfondito subito – racconta Roberta –. Le telecamere di videosorveglianza non sono state visionate in tempo, e forse da quelle immagini avremmo potuto scoprire molto di più”.
Un protocollo che non c’è: la denuncia della madre di Alessandro
Le parole di Roberta Carassai sono un atto d’accusa contro le falle del sistema: “Non esiste un protocollo unico per la ricerca degli scomparsi. Tutto dipende dal buon senso di chi riceve la denuncia. Ma non può essere così. Servono regole precise, tempi immediati, soprattutto per la raccolta e l’analisi delle immagini delle telecamere”.
Le sue parole colpiscono ancora di più quando racconta la freddezza incontrata da alcune autorità: “Mi sono sentita dire che, con l’alluvione nel modenese, mio figlio non era una priorità. Ma per me lo sarà sempre. È stato abbandonato al suo destino”.
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