
Quella dell’Inter è una sconfitta mentale, prima ancora che sportiva. Un blackout dell’anima, più che dei muscoli. La squadra di Simone Inzaghi, che avrebbe potuto passeggiare verso il tricolore più semplice degli ultimi anni, ha scelto inconsciamente di spegnere il motore, come se la posta in gioco non valesse la pena di uno sforzo più serio.
Il suicidio dell'#Inter rischia di avere forti ripercussioni anche in ottica #ChampionsLeague #InterLazio #ParmaNapoli pic.twitter.com/JdyKW6Gcnf
— EltonMM93 (@casey27marc93) May 18, 2025
Questa l’analisi, lucida e approfondita, di Lorenzo Vendemiale sul Fatto Quotidiano. L’esperto giornalista ha tracciato l’identikit di una squadra che “non ha voluto vincere”. Provocazione? Forse. Ma i fatti parlano. In un campionato dove gli avversari si sono eliminati da soli uno dopo l’altro, l’Inter ha sbagliato tutto il possibile. Ha rallentato, passeggiato, e infine si è sciolta sul più bello, lasciando a un Napoli stanco e balbettante il controllo del proprio destino.
C’è una scena che resterà impressa: la clamorosa ingenuità di Bisseck che al 90’ regala il rigore che condanna la sua squadra. Ma la verità è che questo scudetto l’Inter l’ha lasciato per strada a febbraio, a Monza, contro il Parma, contro il Genoa. È il segnale di una squadra che non ha mai acceso davvero la luce, se non nelle notti europee dove la fame era visibile negli occhi.
Pure Acerbi e Bastoni, giganti in Champions, si sono sciolti come neve al sole nel finale della gara con la Lazio. Una fotografia emblematica di uno spogliatoio appagato, distratto, presuntuoso, dove la parola “scudetto” sembrava quasi non sollevare entusiasmi. Perfino San Siro ha partecipato a questo andazzo, il tifo era visibilmente diverso fra le notti di Champions e il campionato. (continua dopo la foto)

Simone Inzaghi, condottiero europeo e primo responsabile della resa in campionato, porta con sé tutte le contraddizioni di questo gruppo. Perdere un titolo contro il Milan di Pioli due anni fa era accettabile. Ma cedere al Napoli di Conte, che ha perso molti punti proprio nel momento decisivo, è una ferita che brucerà molto a lungo. E ora sono due gli scudetti che Inzaghi aveva in mano e che sono sfumati, e non si può far finta di niente.
Non solo Inzaghi: anche i senatori nerazzurri, quelli che dovrebbero farsi sentire nei momenti più delicati, non hanno dato il contributo di grinta e di esperienza che ci si sarebbe aspettati. E adesso, a una settimana dalla finale di Champions, la domanda è velenosa come il silenzio di Appiano: quanto peserà questa disfatta nella testa dei giocatori nell’avvicinamento a Monaco?
La pressione è tutta addosso all’Inter. Se a Monaco non arriverà la coppa, questa stagione sarà ricordata come quella dei grandi rimpianti. E a quel punto, anche lo “scudettino” a lungo snobbato peserà, e tanto. Perché la gloria europea era un traguardo impensabile a inizio stagione, ma uno scudetto pesa, resta, fa curriculum e bacheca.
Invece, l’Inter ha frenato troppe volte, prima sull’asse di Bologna e Roma, poi quando a sorpresa e contro pronostico il Napoli le aveva riconsegnato una fetta enorme di tricolore. Il secondo tempo con la Lazio, però, è stato una fiera degli orrori. Squadra nervosa, quasi non rientrata in campo. Sbagli grossolani dopo aver segnato il gol del sorpasso che aveva rimesso le cose a posto.
Inter, errori intollerabili e scarsa concentrazione
Proprio la reazione dopo l’1-1 dimostra come la squadra fosse inspiegabilmente bloccata. E gli errori di Bisseck (non nuovo e queste distrazioni) e di Arnautovic, che ha mancato un gol clamoroso da due passi, sono pesati almeno quanto le scelte di Inzaghi.
Perché tenere in panchina l’esperto De Vrij invece di mandarlo in campo nel finale per blindare il punteggio? Eppure l’inaffidabilità di Bisseck nella propria area nei finali tirati è cosa nota. E perché non sostituire prima un Mkhytarian visibilmente stanco? Domande che non avranno risposta, ma ronzano nelle menti dei tifosi. Domande che si deve essere posto anche Marotta, che alcuni bene informati descrivono come assolutamente infuriato con tecnico e squadra nel dopo partita negli spogliatoi.
“Non l’hanno voluto abbastanza e al contempo l’hanno sentito troppo”, scrive Vendemiale. Il paradosso nerazzurro è tutto qui. Una squadra che si è sentita troppo forte per combattere, ma è risultata troppo debole per dominare senza impegnarsi al 100%. Con il risultato che lo scudetto, alla fine, è finito altrove. Salvo impossibili sorprese dell’ultima ora. Ma certi treni, si sa, passano raramente. E quando passano, lo fanno una volta sola.