Oggi è l’assistente di Roberto Mancini, suo ex compagno nella Samp degli anni ’90 e Commissario Tecnico della Nazionale italiana dal 14 maggio 2018. Ma chi è Alberico Evani, detto “Chicco”? A svelarcelo è lui stesso, nell’autobiografia Non chiamatemi Bubu scritta con la giornalista Lucilla Granata. In libreria dal 5 marzo, pubblicata da Mondadori Electa, è lì che emerge il ritratto di una grande persona. Un uomo di valori, un giocatore eccellente e generoso, sicuramente un professionista di altissimo livello – e ora anche ottimo tecnico – al di là di quelli che possano essere gli schieramenti e le scelte di tifo.
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Evani, il Milan e oltre
Sul suo, di tifo, nessun dubbio. Soprattutto dopo 393 presenze (sulle 532 partite giocate in carriera) in maglia rossonera. E le 18 reti, alcune delle quali pesantissime. Come le due punizioni che nel dicembre del 1989 regalarono al Milan la Supercoppa Europea contro il Barcellona – grazie a un incredibile esterno sinistro del numero 10 – e la Coppa Intercontinentale, battendo l’indimenticabile Higuita del Nacional Medellin. Due perle in un Palmares composto da 3 Scudetti, 1 Coppa Italia (con la Samp), 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe Intercontinentali, 2 Supercoppe Europee, 3 Supercoppe di Lega, una Mitropa Cup… e due promozioni in Serie A.
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Da fedelissimo a nostalgico
Erano gli anni ’80 (1980-81 e 1982-83, per la precisione), quelli più difficili per il Diavolo, costretto all’onta della Serie B. Solo una parentesi, una prova di fedeltà per un calciatore come lui, cresciuto nella Massese e rimasto in rossonero dal 1980 al 1993, dai 14 ai 30 anni. “Sono stato benissimo per tanto tempo e mi sono anche molto divertito – ricorda Evani nel libro. – Ho vissuto emozioni incredibili, vittorie straordinarie, ho conosciuto compagni di squadra e amici che non ho mai perso negli anni. Anche dopo la fine della mia carriera”.
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La prefazione di Arrigo Sacchi
Uno di quegli amici è Arrigo Sacchi, da poco inserito al terzo posto della classifica dei 50 migliori allenatori della storia stilata da France Football. Con lui aveva condiviso la delusione della sconfitta in finale a Usa ’94, a lui è affidata la prefazione della biografia. “Chicco Evani si racconta in un libro ricco di umanità e aneddoti – racconta Sacchi. – Scrive dell’amore che fin da bambino ha avuto per il calcio. Una passione irrefrenabile verso il pallone, definito ‘un amico fidato e sincero’. Parla della sua numerosa famiglia, dei suoi fratelli e dei suoi laboriosi genitori a cui deve tanto, anche se non hanno mai dimostrato il loro affetto”.
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Non chiamatemi Bubu
Il perché del titolo è lo stesso Alberico a spiegarlo, in un lungo e personalissimo post apparso su facebook: “Detesto essere chiamato Bubu. Scusate ma dovevo dirvelo. È un nomignolo che usate con affetto, per questo ho sempre taciuto, ma in realtà m’infastidisce. Quando qualcuno mi chiama così m’incupisco, non lo vedo proprio di buon occhio. Mi piace Chicco, me lo sento mio, mi appartiene. Sono Chicco! Il mio nome Alberico l’ho ereditato dalla famiglia di mia mamma, era il nome di SUO babbo, MIO nonno!”.
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Frasi sincere, come le tante che – pur definendosi uomo di “pochissime parole” – Evani ha da sempre affidato ai suoi social prima che a questo libro. Diretto non solo ai suoi tifosi, né ai milanisti, ma a tutti gli amanti della nostra storia sportiva e pronti ad ascoltare una esistenza vissuta nel calcio.
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Un libro “sentimentale”, come lo spiega – ancora, e una volta per tutte – il suo autore: “Non so perché ho deciso di scrivere un libro ma so di averlo fatto senza pormi dei limiti, perché chi scrive ha il dovere di non porsi limiti. Mille volte ho scritto e cancellato, perché i miei racconti mi sembravano banali o poco interessanti, poi però ho pensato che stavo sbagliando a voler ricercare la perfezione nelle mie parole, perché la perfezione non esiste e soprattutto non è reale. Quello che ho fatto c’è scritto su Wikipedia, quello che sono ho cercato di scriverlo qui!”.
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