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VAR e fuorigioco semiautomatico: come funzionano e quando intervengono

Il calcio moderno vive sempre più in equilibrio tra emozione e tecnologia. Ogni weekend, in Serie A e non solo, le partite vengono scandite non soltanto dai gol e dalle giocate dei campioni, ma anche dalle decisioni prese davanti a schermi ultradefiniti e sensori intelligenti. VAR e fuorigioco semiautomatico sono ormai parte integrante dello spettacolo: strumenti nati per ridurre gli errori e alleggerire la pressione arbitrale. Eppure, a distanza di anni dalla loro introduzione, continuano a generare discussioni. C’è chi li considera un progresso necessario e chi li vive come un intralcio alla fluidità del gioco. Spesso si parla di “richiami”, “check in corso”, “immagini non disponibili”, ma non sempre è chiaro cosa succeda realmente nelle sale o nei camion regia degli stadi europei. Come funziona il VAR? Quando può intervenire e quando, invece, deve restare in silenzio? E ancora: in che modo opera il nuovo fuorigioco semiautomatico e perché promette più rapidità e precisione? In questa guida proviamo a fare ordine, spiegando con semplicità meccanismi, protocolli e limiti di due tecnologie che stanno cambiando, nel bene e nel male, il modo in cui viviamo il calcio. (CONTINUA DOPO LA FOTO)

Che cos’è il VAR e cosa può rivedere

Il VAR, acronimo di Video Assistant Referee, è un sistema di supporto arbitrale introdotto per ridurre gli errori “chiari ed evidenti” nelle situazioni più delicate di una partita. Non sostituisce l’arbitro, ma lo aiuta attraverso un team di ufficiali che analizzano le immagini in tempo reale da una sala dedicata. Il suo intervento non è libero né discrezionale: avviene solo in circostanze ben definite dal protocollo IFAB. Il VAR può infatti rivedere quattro grandi categorie di episodi: gol e possibili irregolarità che li precedono; decisioni sui rigori, sia concessi sia negati; espulsioni dirette (non le seconde ammonizioni); scambi di identità nei provvedimenti disciplinari.

In tutte le altre situazioni di gioco, dal semplice contatto a metà campo ai falli laterali, il VAR non può intervenire. Il suo ruolo è verificare se l’arbitro abbia commesso un errore grave e manifesto: se le immagini mostrano un dubbio interpretativo, la decisione sul campo resta valida. Quando necessario, il VAR invita l’arbitro all’on-field review, cioè a riconsiderare l’episodio direttamente sul monitor a bordo campo. Il principio guida resta lo stesso: correggere l’evidente, non riscrivere la partita.

Che cos’è il fuorigioco semiautomatico

Il fuorigioco semiautomatico è una tecnologia avanzata introdotta per rendere più rapida e precisa la valutazione delle situazioni di offside. Il sistema utilizza una combinazione di telecamere dedicate, tracciamento dei punti articolari dei giocatori e un sensore all’interno del pallone per determinare con esattezza il momento del passaggio. Grazie a un software di intelligenza artificiale, ogni atleta viene monitorato fino a 50 volte al secondo tramite 29 punti del corpo rilevanti ai fini del fuorigioco.

Il sistema crea così una ricostruzione 3D immediata della posizione dei giocatori, generando una linea virtuale automatica. L’arbitro non è però escluso dal processo: la tecnologia fornisce una segnalazione preliminare, ma la decisione finale resta umana e passa sempre dal VAR. Uno dei vantaggi principali è la drastica riduzione dei tempi di attesa, poiché non è più necessario tracciare manualmente le linee fotogramma per fotogramma. Inoltre, l’automazione limita il margine d’errore legato all’interpretazione delle immagini. In sostanza, il fuorigioco semiautomatico non cambia la regola, ma il modo in cui viene verificata: più rapido e trasparente.

Come vengono tracciate le linee di fuorigioco

Il tracciamento delle linee di fuorigioco è uno degli aspetti più delicati del lavoro del VAR, perché richiede precisione millimetrica e una sincronizzazione perfetta tra immagini e posizione dei giocatori. Nelle competizioni che non utilizzano il fuorigioco semiautomatico, gli operatori VAR selezionano innanzitutto il fotogramma esatto in cui il pallone viene giocato: questo è il punto di partenza fondamentale. Successivamente, grazie a telecamere calibrate con riferimento alla geometria del campo, viene generato un modello tridimensionale che permette di individuare il punto più avanzato dell’attaccante e il penultimo difendente.

Le linee vengono tracciate manualmente attraverso un software che, una volta impostati i punti, restituisce l’allineamento corretto sul piano del campo. L’operazione richiede attenzione, perché basta scegliere un fotogramma errato o posizionare un marker in modo impreciso per alterare la valutazione finale. Nelle competizioni con sistema semiautomatico, invece, il software produce automaticamente la linea 3D grazie ai sensori e al tracciamento articolare, mentre il VAR si limita a verificare che il rilevamento sia corretto. In entrambi i casi, l’obiettivo è lo stesso: garantire che la decisione finale sia il più possibile oggettiva, anche quando l’occhio umano non basta.

In quali casi si va a on-field review

L’on-field review (OFR) è il momento in cui l’arbitro viene invitato dal VAR a rivedere personalmente un’azione sul monitor a bordo campo. Non accade spesso, perché il protocollo lo prevede solo quando è necessario correggere o confermare decisioni potenzialmente decisive. L’OFR si applica nei quattro ambiti in cui il VAR può intervenire: gol, rigori, espulsioni dirette e scambi di identità. Per esempio, l’arbitro può essere chiamato a riconsiderare un contatto in area non visto chiaramente dal vivo, oppure a valutare l’intensità di un intervento da rosso.

Non si ricorre invece all’OFR per i fuorigioco, che sono decisioni oggettive basate sulle linee tracciate, né per episodi in cui l’errore non è “chiaro ed evidente”. La filosofia è semplice: il VAR segnala, ma l’arbitro decide. L’OFR serve proprio a restituire centralità al direttore di gara nei casi più delicati, fornendogli una seconda visione più nitida e rallentata dell’episodio. Solo dopo aver rivisto le immagini, l’arbitro può confermare la sua scelta o modificarla.

Limiti e tempi di intervento del VAR

Il VAR non è uno strumento pensato per rivedere ogni singolo contatto della partita, ma un supporto circoscritto da limiti molto rigidi. Può intervenire solo quando c’è un potenziale errore “chiaro ed evidente” o un fatto oggettivo sfuggito all’arbitro, e non può modificare decisioni nate da semplici interpretazioni di gioco. Se un contatto è dubbio, ma non palesemente sbagliato, la scelta sul campo resta valida.

Allo stesso modo, il VAR non può intervenire su rimesse laterali, falli a metà campo o seconde ammonizioni. Anche i tempi di intervento sono regolati: l’obiettivo è essere rapidi senza compromettere l’accuratezza. In genere, un check silenzioso dura pochi secondi e non interrompe il gioco; solo se emerge un possibile errore grave si passa alla revisione formale. Tuttavia, alcune situazioni complesse — come fuorigioco millimetrici o contatti multipli in area — possono richiedere più tempo. È proprio questo equilibrio tra velocità e precisione che genera, talvolta, inevitabili polemiche. In ogni caso, il principio resta invariato: il VAR deve correggere l’errore evidente, non riscrivere la partita.

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