
Nel cuore della città di Catania, un gesto estremo ha squarciato la quotidianità lasciando attonita un’intera comunità. Una tragedia che appare, a molti, inspiegabile, tanto assurda da sembrare irreale. Eppure è accaduto: Annamaria Geraci, 40 anni, ha lanciato dal terrazzo la sua bimba di sette mesi, Maria Rosa, sotto gli occhi increduli del figlio maggiore. «Mamma, ma cosa stai facendo?», avrebbe detto il piccolo, tentando disperatamente di fermarla. Un episodio che non ha solo scosso Misterbianco, in provincia di Catania, ma ha riacceso i riflettori su una questione ancora troppo sottovalutata: la depressione post partum. Per comprendere le pieghe di questo dramma, abbiamo ripreso le parole rilasciate in un’intervista a Leggo dallo psicoterapeuta e psicoanalista Alessandro Raggi, docente MUR, che ha aiutato a delineare un quadro più chiaro, andando oltre i luoghi comuni e le narrazioni semplicistiche. (Continua a leggere dopo la foto…)

Tragedia a Catania: parla lo psicoterapeuta
Non una “sindrome” né un’eccezione. La depressione post partum è una condizione seria e diffusa, che può colpire fino a una donna su cinque. Secondo Alessandro Raggi, il termine viene spesso banalizzato o frainteso, mentre in realtà indica «una sofferenza interiore, un senso di inadeguatezza, pensieri intrusivi o angoscianti». Tuttavia, puntualizza il clinico, anche nei casi non trattati, gli episodi violenti sono rarissimi. «La maggior parte delle donne che ne soffrono non arriva mai a tradurre il proprio disagio in azioni», spiega Raggi.
Nel caso di Annamaria Geraci, i primi riscontri investigativi parlano di fragilità psichica e di un possibile distacco emotivo nei confronti della figlia. Ma, come sottolinea lo psicoterapeuta, è un errore fermarsi a queste etichette: «Ridurre tutto a ‘era malata’ è una scorciatoia narrativa che fa male a tutti. Così si rafforza lo stigma verso chi vive un disagio psichico». Eppure, proprio in queste situazioni estreme, si nasconde una complessità clinica difficile da leggere con categorie rigide. (Continua a leggere dopo la foto…)

Psicosi post partum: la forma più grave e meno compresa
Nel tentativo di comprendere cosa possa spingere una madre a un gesto così devastante, emerge un’altra possibile spiegazione clinica: la psicosi post partum, una condizione più rara — tra lo 0,1% e lo 0,2% dei casi — ma potenzialmente più pericolosa. «In questi casi possono comparire deliri, stati dissociativi, fantasie persecutorie. Ma anche qui, gli episodi violenti restano eccezionali», chiarisce Raggi.
Il punto, secondo il professionista, è che spesso si tende a confondere la sofferenza con la pericolosità. «Una madre con depressione può vedere l’ombra di un pericolo dentro di sé e lottare per proteggere il figlio proprio da quella parte oscura», afferma. È una battaglia interna, lacerante, che richiede attenzione clinica, non giudizi sommari.
Sul piano giuridico, si discute se il gesto possa essere inquadrato come figlicidio o infanticidio, ma Raggi precisa: «Il termine infanticidio si applica all’uccisione del neonato subito dopo il parto, in stato di turbamento psichico. In questo caso, parliamo di una bambina di sette mesi: sarà la magistratura a valutare, ma clinicamente si tratta di scenari diversi».
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