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Jannik Sinner, parla la Wada: “Perché abbiamo siglato l’accordo”, ma c’è un dubbio che sconcerta

Jannik Sinner, dopo l’accordo per una squalifica di tre mesi, ora la Wada ha spiegato i motivi che hanno portato a questa conclusione. E lo ha fatto con toni molto diversi da quelli, aggressivi e spesso discutibili, con i quali si era espressa prima che il “patteggiamento” con l’italiano fosse reso pubblico.

A chiarire la posizione dell’Agenzia Mondiale Antidoping è stato James Fitzgerald, portavoce dell’organizzazione, con un lungo intervento su La Stampa. Fitzgerald ha spiegato perché l’Agenzia ha deciso di accettare un accordo con Jannik Sinner, riducendo la sua squalifica a tre mesi invece del minimo di un anno inizialmente richiesto.

Il portavoce ha sottolineato come il caso dell’altoatesino fosse “unico” rispetto ad altri episodi di positività a sostanze dopanti. Il riferimento è all’articolo 10.8.2 del Codice Antidoping, introdotto nel 2021, che consente una riduzione della sanzione in situazioni eccezionali, quando la violazione non rientra nei parametri disciplinari standard e l’atleta collabora ammettendo l’infrazione.

La Wada ha contestato inizialmente la decisione dell‘Itia, che aveva assolto Sinner per “mancanza di colpa o negligenza”, ritenendo che questa condizione non fosse applicabile al suo caso. Secondo l’Agenzia, infatti, non si poteva parlare di totale assenza di responsabilità perché Sinner era comunque responsabile della condotta del suo staff.

Nel caso specifico, però, il Clostebol non è stato assunto direttamente dall’atleta, sia pure inconsapevolmente, ma è stato assorbito per via transdermica dopo che il massaggiatore di Sinner, Naldi, aveva applicato sulla sua pelle un prodotto contenente la sostanza vietata. Il massaggiatore, a sua volta, lo aveva usato su consiglio del preparatore Ferrara per curare una ferita. (continua dopo la foto)

Questo dettaglio, per la Wada, rendeva il caso diverso dagli altri, perché non si trattava di una somministrazione diretta, ma di un’assunzione involontaria dovuta a un contatto indiretto. Dopo un’ulteriore analisi della documentazione fornita da Sinner, la Wada ha concluso che la sua versione fosse scientificamente plausibile e supportata da prove concrete.

Inoltre, il Tribunale Indipendente che aveva giudicato il caso in primo grado e l’International Tennis Integrity Agency avevano già riconosciuto la particolarità della situazione. Di conseguenza, l’Agenzia ha ritenuto che una squalifica di 12 mesi sarebbe stata eccessivamente severa e ha accettato di patteggiare una sospensione di tre mesi.

Nonostante la spiegazione ufficiale, resta il dubbio che la Wada abbia scelto il patteggiamento per evitare un possibile respingimento del ricorso da parte del Tribunale Arbitrale dello Sport. Se il Tas avesse rigettato l’appello, sarebbe stato un caso senza precedenti nella storia delle squalifiche per positività al Clostebol, e avrebbe messo in discussione l’efficacia dei regolamenti antidoping.

Jannik Sinner e Wada, la domanda che sconcerta

La vicenda lascia quindi aperte molte domande sull’equità delle sanzioni e sulla gestione dei casi di doping da parte della Wada, e alimenta il dibattito sulla trasparenza e sulla coerenza delle decisioni dell’Agenzia, che in altre occasioni (per esempio nel caso dei nuotatori cinesi “assolti” senza ricorso pur essendo stati trovati positivi nei test) era stato fonte di grandi polemiche.

Il dubbio “sconcertante”, dunque, è che la Wada, rendendosi conto della debolezza dell’impianto d’accusa, abbia rilasciato dichiarazioni molto dure per spingere il nostro atleta al patteggiamento. Questo comportamento confermerebbe le ragioni “politiche” che sin dall’inizio hanno gettato ombre su tutta la vicenda.

Se sapevano che il caso era anomalo e che Sinner non meritava una lunga squalifica, avrebbero dovuto evitare certe esternazioni. Con buona pace di chi sostene che Sinner abbia beneficiato di un trattamento di favore. Il caso, insomma, continuerà a far discutere.

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