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Italia, tre nomi per la panchina della Nazionale: ecco chi è in vantaggio

Venti anni dopo la gloria di Berlino, l’Italia sogna di ripetere quel trionfo nel 2026. E ora è iniziata una volata a tre per la panchina della Nazionale. E non a caso i nomi più accreditati per la successione a Spalletti sono quelli di tre giganti di quel Mondiale indimenticabile: perché per sognare, bisogna prima qualificarsi. E per qualificarsi occorre cambiare immediatamente rotta.

Ecco quindi che la Federazione sta pensando a Fabio Cannavaro, Rino Gattuso e Daniele De Rossi. Ognuno con l’identikit giusto, ognuno pronto a raccogliere l’eredità di Luciano Spalletti. Al momento Rino Gattuso sembra in vantaggio, e nelle ultime ore la sua candidatura ha preso sempre più corpo.

Sullo sfondo resiste l’ipotesi di un possibile ritorno di Roberto Mancini, ma il presidente Gravina, entro le prossime ventiquattro ore, scioglierà le riserve. La rosa dei candidati è stata ristretta proprio a questi tre, con Mancini defilato, e le priorità sono chiarissime: personalità, idee, e una situazione contrattuale che non crei problemi.

Il prescelto dovrà portare carisma, rilanciare un ambiente depresso. Ma attenzione, i tempi sono strettissimi. Al nuovo CT non si chiederà di insegnare calcio, ma di forgiare una squadra aggressiva, con una passione che è mancata a una Nazionale apparsa stanca, scarica mentalmente e demotivata nelle ultime uscite. Gattuso e Cannavaro sono liberi, De Rossi ha un contratto con la Roma ma sarebbe liberato senza problemi. (continua dopo la foto)

Di Gattuso piace il carattere guerriero, quella grinta che all’ultima Italia sarebbe servita come il pane. Rino combinava una forza fisica debordante con una leggendaria generosità. Dei tre, è anche quello con l’esperienza più importante in club di alto livello: Milan, Napoli (con cui ha vinto una Coppa Italia), Siviglia, Marsiglia, e l’ultima tappa all’Hajduk.

Il suo calcio è molto più studiato di quanto si pensi: a Napoli, subentrando ad Ancelotti, ha saputo dare un’anima e un gioco etichettato come “ringhismo”, un’evoluzione più giochista del “cholismo” di Simeone. Le sue squadre sono compatte, aggressive, con una buona circolazione di palla.

Il 4-2-3-1 è il sistema tattico adottato più di recente, ma Gattuso ha spaziato anche con il 4-3-3 e la difesa a tre. “Grinta e cuore sono l’abc del calcio. Senza voglia, senza anima non si può giocare“, ripete, spiegando di essere cambiato dopo l’esperienza in Spagna: pressing, verticalizzazioni, più tecnica.

Discorso che calza a pennello anche per Fabio Cannavaro, forse più scientifico nella costruzione tattica. Se Gattuso è il guerriero, Cannavaro è il capitano, il simbolo dell’Italia mondiale che ha sollevato la Coppa. A volte si infastidisce Fabio quando gli ricordano solo le esperienze sfortunate in Benevento e Udinese, sottovalutando esperienze a Dubai, in un’Arabia Saudita d’avanguardia, il Tianjin e il Guangzhou in Cina, la nazionale cinese, e da ultima la Dinamo Zagabria.

Il suo rapporto privilegiato con Lippi, che lo volle in Cina, gli ha trasmesso quell’elasticità tattica che ritroviamo nei suoi 4-3-3 (spesso con impostazione a tre) e 3-4-3. “Nel mio calcio non conta il possesso palla, ma l’intensità. Quello di cui parla Klopp: rock and roll, verticale, avanti e indietro. Voi mi pensate difensore, ma io voglio un calcio d’attacco, aggressivo. Ai miei giocatori spiego: sempre meglio una corsa in avanti che una dietro“. (continua dopo la foto)

Infine, Daniele De Rossi. La Roma lo ha esonerato quasi subito, ma De Rossi meritava più pazienza. Lo definiscono un predestinato. Nello staff di Mancini, poi l’esperienza alla Spal, e infine la sua Roma. Si è visto che De Rossi non è un allenatore comune: ha alternato diversi sistemi, con il 4-2-3-1 come preferito, ma non ha disdegnato il 3-4-2-1.

Una delle sue chiavi è la capacità di sorprendere gli avversari con spostamenti di fascia e di zona, come nei quarti di Europa League contro il Milan. Tanta varietà, tanto carattere e carisma. “Sono influenzato da Spalletti, Luis Enrique e Conte, ossessionato dalla vittoria. Vorrei solo che la Roma, alla fine del nostro percorso, fosse riconoscibile come identità di gioco”. Chi sarà il prescelto? Ora tocca a Gravina scegliere.

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