L’Inter lascia l’Arabia Saudita con l’umore sotto i tacchi e una sensazione di déjà-vu difficile da ignorare. A Riad, per il secondo anno di fila, il bilancio è amaro: prima la rimonta subita dal Milan nel gennaio 2025, ora l’eliminazione ai rigori contro il Bologna. Cambiano gli avversari, non l’epilogo. E questa “consuetudine”, più del risultato, pesa come un macigno.
https://t.co/rGxGaEVBc2 Chivu stavolta colpa tua cambi sbagliati e tardivi. rigori bastava tirare forte al centro.
— Camilo59 (@48dedostones) December 20, 2025
Alle 10.30 locali, 8.30 italiane, il charter nerazzurro ha lasciato l’aeroporto intitolato a re Khalid. Volti stanchi, delusi, ma nessun clima da resa dei conti. La sconfitta brucia, inutile girarci attorno, perché questo trofeo era sentito: serviva a spezzare un digiuno che dura da un anno e mezzo, dall’ultimo successo dello scudetto della seconda stella, maggio 2024.
A pesare non è solo la caduta, la settima stagionale, ma soprattutto il modo. Una sconfitta arrivata ancora una volta dopo aver creato, gestito e sprecato. Un copione ormai noto che alimenta frustrazione e interrogativi.
Il problema vero è la coazione a ripetere. L’Inter costruisce, controlla, produce occasioni, poi sbaglia il colpo decisivo o il dettaglio che cambia la partita. E alla fine paga. Succede nelle gare che contano, succede troppo spesso.
Dalla gestione talvolta sufficiente del gioco agli errori individuali che tornano ciclicamente, passando per lo spreco sotto porta e gli incubi negli scontri diretti, il film è sempre lo stesso. Anche il tabù Bologna si aggiunge a una lista che inizia a diventare ingombrante. Serve uno step mentale prima ancora che tattico: salire di livello, senza rinvii.
Domani la squadra riprenderà ad allenarsi e sarà quello il momento per Chivu di parlare al gruppo. A caldo, nello spogliatoio dell’Al-Awwal Park, non c’erano né tempo né spazio per analisi approfondite. La società, però, ha le idee chiare: piena fiducia nel tecnico, che ha in mano la squadra sul piano tattico, tecnico e fisico. I finali di gara, almeno, non raccontano più di una squadra in apnea.
Detto questo, il presente non può continuare a somigliare al passato. Essere primi in campionato e tra le prime otto in Champions è un dato reale e positivo, ma non cancella la necessità di un cambio di passo. Serve più cattiveria, quella che ti fa vincere 1-0 le partite sporche e ti fa difendere il vantaggio senza tremare.
Il messaggio è semplice, quasi brutale: basta regali. Perché il talento c’è, la struttura anche. Ora tocca alla testa. E lì, l’Inter non può più permettersi distrazioni.
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