
Non è stato un raptus. Non è stata follia improvvisa. Secondo la procura di Milano, Emanuele De Maria aveva pianificato ogni singolo gesto, dal primo all’ultimo. L’aggressione mortale alla 50enne Chamila Wijesuriyauna, trovata senza vita nel Parco Nord, e l’accoltellamento del 51enne Hani Nasr, rimasto gravemente ferito, sarebbero stati frutto di una decisione premeditata. De Maria, 35 anni, era in permesso di lavoro esterno dal carcere di Bollate, dove scontava una condanna per un altro omicidio. Domenica 11 maggio si è tolto la vita lanciandosi dalle terrazze del Duomo di Milano. Ma dietro quel gesto estremo, secondo il pm Francesco De Tommasi, si cela un piano criminale lucido e calcolato.

Un passato già segnato dal sangue e una tragica ripetizione
La storia di De Maria non è nuova alla cronaca nera. Nel 2016 aveva ucciso una ragazza di 23 anni, Rachem Oumaima, in un contesto molto simile: tagli al collo e ai polsi, la stessa firma ritrovata ora sul corpo di Chamila Wijesuriyauna. Per quel delitto era stato condannato a 14 anni, ridotti a 12 in appello, ma era riuscito a fuggire in Germania dove era rimasto latitante per due anni prima di essere arrestato nel 2018. In carcere, però, De Maria si era costruito una reputazione impeccabile: detenuto modello, impegnato, disciplinato. Tanto da ottenere la fiducia del Tribunale di Sorveglianza e accedere al permesso per lavorare all’esterno, un premio riservato ai carcerati ritenuti affidabili. Ma qualcosa, evidentemente, non è stato valutato con la dovuta attenzione.
Scopriamo tutti i dettagli nella pagina successiva