Muhammad Ali è considerato uno dei più grandi pugili di tutti i tempi. La sua carriera e la sua vita sono state segnate non solo dai suoi straordinari successi sul ring, ma anche dal suo impegno come attivista per i diritti civili. Ali ha trasformato il mondo del pugilato con il suo stile unico e il suo carisma, diventando un simbolo di forza, determinazione e giustizia sociale.
Le origini del mito
Cassius Clay è cresciuto in un periodo di forte segregazione razziale negli Stati Uniti. La sua introduzione al pugilato avvenne per caso quando, all’età di 12 anni, gli fu rubata la bicicletta. Furioso, decise di voler affrontare il ladro e un poliziotto locale lo indirizzò verso una palestra di pugilato. Da quel momento, iniziò a dedicarsi con passione allo sport, mostrando fin da subito un talento straordinario. (CONTINUA DOPO LA FOTO)
Nel 1960, all’età di 18 anni, Clay vinse la medaglia d’oro nei pesi mediomassimi alle Olimpiadi di Roma. Questo successo segnò l’inizio della sua ascesa nel mondo del pugilato professionistico. Con il suo stile unico, caratterizzato da velocità, agilità e una straordinaria capacità di schivare i colpi, iniziò a guadagnare notorietà. La sua personalità carismatica e la sua abitudine di parlare apertamente e con fiducia di sé lo resero un personaggio affascinante a livello mediatico.
I successi sul ring
Nel 1964, dopo aver sconfitto Sonny Liston per il titolo mondiale dei pesi massimi, Clay annunciò di essersi convertito all’Islam e cambiò il suo nome in Muhammad Ali per abbandonare il proprio “nome da schiavo” e assumere il titolo di “nobile” (uno dei significato della parola Ali). Questo cambiamento segnò un punto di svolta nella sua vita. Ali si unì alla Nation of Islam, un’organizzazione religiosa afroamericana, e divenne un simbolo di orgoglio nero e resistenza contro la discriminazione razziale.
La decisione di cambiare nome e religione fu controversa e attirò critiche da molte parti. Tuttavia, Ali rimase fermo nelle sue convinzioni, utilizzando la sua fama per parlare apertamente contro l’ingiustizia razziale e per promuovere i diritti civili. (CONTINUA DOPO LA FOTO)
Nel 1967, nel pieno della guerra del Vietnam, Ali fu chiamato a prestare servizio militare. Tuttavia, egli rifiutò di arruolarsi, citando le sue convinzioni religiose e morali. Famose furono le sue parole: “Non ho niente contro i Vietcong… Nessun Vietcong mi ha mai chiamato negro“. Questo atto di disobbedienza civile gli costò caro. Fu arrestato, privato dei suoi titoli mondiali e bandito dal pugilato per quasi quattro anni durante il periodo di massimo splendore della sua carriera.
Il rifiuto di Ali di andare in guerra fu un atto di enorme coraggio e convinzione personale. Diventò un simbolo della resistenza contro l’oppressione e l’ingiustizia, non solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo. La sua posizione rafforzò il movimento contro la guerra e ispirò molti altri a parlare apertamente contro l’ingiustizia.
Quante volte ha perso Ali in carriera?
Dopo una lunga battaglia legale, nel 1971 la Corte Suprema degli Stati Uniti annullò la condanna di Ali per renitenza alla leva. Ritornò così sul ring, dove affrontò alcuni degli incontri più epici della storia del pugilato. Uno dei più celebri fu il suo combattimento contro Joe Frazier, noto come “The Fight of the Century“, il 8 marzo 1971. In un incontro durissimo, Ali subì la sua prima sconfitta da professionista, ma la rivalità con Frazier divenne leggendaria, culminando in una trilogia di incontri memorabili. (CONTINUA DOPO LA FOTO)
Nel 1974, Ali affrontò George Foreman nel famoso incontro noto come “The Rumble in the Jungle” a Kinshasa, nello Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo). Nonostante fosse considerato l’outsider, Ali usò una tattica intelligente, il “rope-a-dope“, per stancare Foreman e infine metterlo KO all’ottavo round, riconquistando il titolo mondiale dei pesi massimi. Questo incontro non solo dimostrò la sua abilità sul ring, ma anche la sua capacità di strategia e resistenza. Complessivamente Ali ha vinto 56 incontri (di cui 37 per KO) e perso solo in 5 occasioni. L’ultimo in contro in carriera è datato 11 dicembre 1981 contro Trevor Berbick alle Bahamas: in quell’incontro il campione perse ai punti dopo 10 round e appese definitivamente i guantoni al chiodo.
L’impegno sociale
Oltre ai suoi successi sportivi, Muhammad Ali fu un instancabile sostenitore dei diritti civili e delle cause umanitarie. Utilizzò la sua fama per portare l’attenzione su questioni importanti come il razzismo, la povertà e la giustizia sociale. Viaggiò in tutto il mondo come ambasciatore di pace, incontrando leader mondiali e partecipando a missioni umanitarie. (CONTINUA DOPO LA FOTO)
Nel 1984, Ali fu diagnosticato con il morbo di Parkinson, una malattia neurologica degenerativa. Nonostante la sua condizione, continuò a essere una voce attiva per la pace e la giustizia. La sua lotta contro la malattia mostrò ancora una volta la sua straordinaria forza di volontà e il suo spirito indomito.
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