
La notizia ha travolto la piccola comunità come un’onda gelida, lasciando dietro di sé solo silenzio e domande sospese. Paolo Mendico, 14 anni, si è tolto la vita e attorno al suo gesto estremo si stringono ora indagini, accuse, silenzi e un dolore che brucia. In paese, qualcuno ancora sussurra, altri tacciono per imbarazzo. Mentre i genitori, straziati, cercano giustizia, emerge uno scenario che va oltre il singolo caso: quello di un bullismo persistente, sordo e invisibile, che sarebbe cresciuto nell’ombra tra i banchi dell’istituto “Pacinotti” e forse anche online, davanti a schermi controllati solo troppo tardi.


Paolo Mendico, vittima di bullismo: l’inchiesta
Il fascicolo aperto dalla Procura dei minori di Roma parla chiaro: si indaga per “istigazione o aiuto al suicidio”. I genitori di Paolo hanno consegnato ai Carabinieri i nomi di alcuni compagni di classe che, secondo loro, avrebbero insultato e umiliato il ragazzo per mesi, forse anni. Il sequestro dei cellulari e l’analisi dei tabulati puntano a ricostruire quel dedalo di chat, messaggi e screenshot che potrebbe rivelare la dinamica di un accerchiamento psicologico soffocante.
E mentre i dispositivi elettronici — compresa la Xbox su cui il ragazzo giocava online — vengono passati al setaccio, emerge il sospetto che il bullismo non sia rimasto confinato tra i corridoi della scuola, ma abbia invaso ogni spazio della vita quotidiana di Paolo, rendendo impossibile persino rifugiarsi nella propria stanza.

Le frasi agghiaccianti dei bulli: il lato oscuro della leggerezza
“Ormai è morto, e ci cachi gliu cazz…”: così, in dialetto, alcuni ragazzi di Santi Cosma e Damiano avrebbero commentato la morte di Paolo, come ha raccontato al Corriere della Sera un residente, Sergio. Solo dopo essersi accorti di essere osservati, sarebbero tornati a recitare la parte di “angioletti composti”.
Parole crudeli, lanciate con leggerezza, che svelano la superficie gelida di una cultura dell’indifferenza. Secondo i genitori, quel clima di volgarità quotidiana avrebbe scavato giorno dopo giorno un solco dentro il figlio, fino a trascinarlo nel baratro. È un ritratto agghiacciante di come il bullismo possa camuffarsi da gioco, da scherzo, da normalità, e proprio per questo passare inosservato anche agli occhi più vicini.
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