x

x

Vai al contenuto

Inter, la batosta Champions lascia il segno: ora serve un cambiamento profondo

Un solo scudetto in quattro stagioni, ma due finali di Champions in tre anni. L’Inter di Simone Inzaghi lascia tutti sospesi tra orgoglio e delusione, tra il “poteva essere peggio” e il “doveva essere molto meglio”. Il fulcro dell’analisi di Stefano Fiore su Sport Mediaset è in questo dilemma che ha diviso anche i tifosi: come giudicare il quadriennio del Mister piacentino alla guida dei nerazzurri? La risposta non è delle più semplici.

La sconfitta pesantissima di Monaco contro il PSG è una batosta che, se non verrà assorbita in fretta, rischia di compromettere non solo il presente, ma anche il futuro. Anche perché l’Inter che ha incantato l’Europa, che ha imposto il suo stile anche in trasferta nei grandi stadi, è la stessa che in patria ha raccolto molto meno di quanto la qualità della rosa avrebbe suggerito.

Non bastano le due Coppe Italia e le tre Supercoppe, che sono certamente trofei che rimangono nel palmares, ma sono anche vittorie “minori” che non possono sollevare grandi entusiasmi per un club con il blasone dell’Inter. E allora, l’unico acuto davvero indelebile resta il tricolore della seconda stella nel 2023.

La rosa costruita con rigore contabile e idee coraggiose – basti pensare al mercato estivo del 2024 – è la più competitiva in Italia degli ultimi quattro anni. Ma i numeri sono spietati: nel post-Triplete, l’Inter ha vinto appena due scudetti. Inzaghi, in 4 anni, solo uno. E allora la domanda è ovvia: come sarà ricordato, fra venti o trent’anni, il cammino di questa squadra? (continua dopo la foto)

Ricorderemo un’Inter tornata nell’élite d’Europa, capace di sfidare i giganti con orgoglio e idee, o un’occasione mancata per dominare in Italia? C’è una parte di tifoseria che non ha dubbi: Simone Inzaghi ha fatto miracoli. Ha costruito gioco, identità, ha portato la squadra su palcoscenici dove i nerazzurri non mettevano piede dai tempi di Mourinho.

Ma c’è anche chi guarda i numeri con spietata lucidità: un solo scudetto, con questa rosa, è poco. Anzi, è imperdonabile. E la finale persa contro il PSG – una resa senza appello – ha rivelato alcuni difetti cronici: la mancanza di un piano B, la gestione dei cambi spesso cervellotica, e soprattutto un’assenza di reazione collettiva che chiama in causa tutti, dalla panchina al campo.

Le parole di Marotta, che ha detto di voler continuare con Inzaghi “se lui vorrà”, suonano come un invito a prendere una decisione. Ma anche come una delega densa di significato. La sensazione è che il club voglia evitare lo strappo, ma sappia che qualcosa deve cambiare. Perché senza nuovi stimoli, si rischia di ripiegarsi su se stessi.

Marotta è abile: si deve a lui se la rosa è rimasta competitiva nonostante le difficoltà economiche. Molti dimenticano che il consuntivo degli ultimi anni di mercato segna un +115 milioni: cioè, l’Inter ha incassato più di quanto abbia speso. Molto di più. Eppure, con un’abile gestione dei “parametri zero” e scelte che si sono rivelate molto positive, come gli acquisti di Dumfries e Thuram, i nerazzurri sono rimasti ai vertici.

Ma ora la squadra ha un’età media molto alta, alcuni dei protagonisti hanno superato i 35 anni. Inzaghi ha molti meriti: ha portato una mentalità offensiva, fatto vedere a tratti un gioco spettacolare. Ma ha anche puntato poco sui giovani. La lite con Frattesi dopo la finale è una sorta di dimostrazione plastica: non avere fatto entrare un giocatore decisivo nelle gare precedenti, in una situazione oltretutto disperata, è stato uno sgarbo difficile da comprendere. (continua dopo la foto)

Ma come, si è chiesto Frattesi insieme a molti tifosi, stai perdendo 2-0, la Coppa sta sfuggendo fra le mani e anziché cercare di dare una scossa alla squadra inserisci quattro difensori, lasciando che l’inerzia della partita scivoli verso la disfatta senza tentare almeno una mossa tattica? Il Psg si è mostrato più forte, giovane e fresco. La sconfitta ci stava. Ma, sottolineano in molti, non così. Non senza lottare. Non senza tentare niente di diverso per 90 minuti.

La partita di Monaco ha mostrato i limiti di Inzaghi che una parte della tifoseria segnala da tempo. Che sono limiti caratteriali e di lettura delle partite (e dei cambi), non di tattica di base. Simone ha dato molto alla squadra: una base solida e bel gioco, anche se molto dispendioso: quando i giocatori non erano al 100% della forma, in tutte le stagioni si sono verificati periodi in cui ha raccolto pochissimi punti: e le due serie di 7 punti in 7 partite, sempre nel girone di ritorno, che si sono ripetute in due diverse stagioni sono costate carissime. Almeno due scudetti.

Ci sono altri numeri che sollevano interrogativi. L’Inter nei match con le due rivali storiche (Milan e Juventus) e con il Napoli campione d’Italia ha raccolto un bottino inaccettabile: 4 punti in sei partite. E qui qualche domanda bisogna farsela. Dal punto di vista della programmazione e degli obiettivi, cercare di andare avanti in Coppa Italia schierando nel derby una squadra ibrida fra titolari e riserve è stato un errore che un allenatore d’esperienza non doveva commettere.

l titolari avevano bisogno di riposo, e quelle due settimane in cui invece che prendersi una meritata pausa sono state spese energie fisiche e nervose per un obiettivo minore, quando c’era lo scudetto in ballo, sono costate moltissimo. Innanzitutto l’infortunio di Di Marco e l’usura di Lautaro, che si è fatto male subito dopo.

Poi, la stanchezza di una squadra che nelle partite post o pre derby è apparsa spossata e ha raccolto 1 solo punto fra Parma, Bologna e Roma. Oltretutto, subendo in quei derby una dura lezione da un Milan che quest’anno era in condizioni pessime, ma che Inzaghi non è riuscito a battere nemmeno una volta su 5 tentativi. E sono tutti numeri che pesano. (continua dopo la foto)

In Europa il cammino è stato entusiasmante. Lì, molte squadre giocano più aperte e cercano di imporre il loro gioco senza guardare a quello dell’avversario. Per questo il modulo inzaghiano funziona meglio, e riesce a ottenere risultati fuori scala come le vittorie con Bayern e Barcellona. Anche se, con i blaugrana, è stata una vittoria di nervi voluta dai giocatori a tutti i costi, ma per i valori espressi campo gli spagnoli avrebbero meritato di passare. Cosa ovvia, visto la differenza di valore delle rose.

E non è un caso che, sempre in Europa, le peggiori prestazioni dell’Inter siano arrivate contro allenatori “latini”: con il Porto di Conceicao, quando arrivò una qualificazione sudatissima e sinceramente molto fortunata (con i 3 pali dei portoghesi nel convulso finale del ritorno); con l’Atletico di Simeone. E ora con il PSG di Luis Henrique. Cioè Mister che avevano studiato l’Inter e adottato adeguate contromosse.

Perché un’Inter così grintosa e capace di certe imprese si squaglia nelle partite decisive? Questo è l’altro nodo. Il famoso recupero con il Bologna, perso 2-1 con la squadra che dopo aver subito il pareggio va in totale crisi tattica e nervosa. La partita contro la Lazio di quest’anno. L’inguardabile finale con il PSG: sono troppi gli appuntamenti mancati. E alla fine pesano.

Inter, ora servono cambiamenti profondi

Ora la società si trova a un bivio: o si cambia la guida tecnica, o si interviene profondamente sulla rosa. Restare fermi, fa notare Fiore, sarebbe il vero errore. La storia, per quando sia crudele, non si scrive con i “percorsi”, ma con i trofei. Le finali si ricordano, sì, ma si celebrano solo se si vincono. E una stagione chiusa senza titoli sarà ricordata con amarezza, più che con orgoglio.

Questa Inter merita rispetto per il cammino europeo, ma ora serve una scelta coraggiosa. Perché il tempo rischia di ridurre tutto a un ricordo sbiadito: quello di Inzaghi di questi quattro anni è stato un percorso con momenti molto positivi, ma incompiuto. E l’Inter non può più accontentarsi.

Il calcio italiano non ha le risorse necessarie per competere con le corazzate europee, e lo sappiamo. L’Inter è l’unica squadra che ha ottenuto risultati importanti in questi anni, e le va assolutamente riconosciuto, ma ora serve un cambio di passo. E se in Europa vincere è quasi impossibile, serve puntare ai traguardi raggiungibili in patria. I “percorsi” non bastano più.

Leggi anche:

Argomenti