Quarant’anni dopo, il ricordo è ancora vivo e doloroso. Stefano Tacconi torna a parlare dell’Heysel, della finale di Coppa dei Campioni del 29 maggio 1985 tra Juventus e Liverpool, segnata dalla morte di 39 persone prima ancora che il pallone iniziasse a rotolare. Una notte che l’ex portiere bianconero dice di rivivere spesso, soprattutto quando il sonno non arriva.
Stefano #Tacconi: “Giovanni #Daffara dell’#Avellino può essere il mio erede e può tornare in futuro alla #Juventus per essere protagonista” pic.twitter.com/VxbtBQCfw2
— Antonio Scaduto (@AntonioScaduto1) December 13, 2025
“Non si può morire per una partita di calcio“, ripete Tacconi. Una frase semplice, definitiva. Eppure, dopo quella tragedia, si giocò lo stesso. E si alzò anche una coppa.
Il racconto di Tacconi parte dagli spogliatoi, da quei momenti che precedettero una partita diventata subito irreale. I giocatori della Juventus erano già sotto la doccia quando nello spogliatoio arrivarono alcuni tifosi feriti e insanguinati. Il medico bianconero prestò i primi soccorsi, mentre la squadra capiva che qualcosa di terribile stava accadendo.
“Sapevamo di una persona schiacciata nella calca. Dei 39 morti ci parlarono solo dopo la partita”. Nessuno pensava più al calcio. Poi, però, arrivò un generale delle forze dell’ordine belghe: per ragioni di ordine pubblico, la Juventus doveva scendere in campo. “Di fatto ci obbligò a giocare“.
In campo, la paura non svanì. Tacconi ricorda soprattutto la porta difesa nel secondo tempo, proprio sotto il settore Z, ormai vuoto. Un’immagine che non lo ha mai lasciato. La finale finì 1-0 per la Juventus, con il rigore di Platini. Tacconi parla anche delle sue parate, forse la miglior prestazione della carriera, ma subito frena: “Non se ne può parlare. Quella serata è stata drammatica“.
Il dopo partita è altrettanto surreale. Niente festeggiamenti, rientro immediato negli spogliatoi, senza coppa. Poi, ancora una volta, l’intervento del generale: la squadra doveva tornare in campo e mostrare il trofeo ai tifosi rimasti. Sempre per ordine pubblico.
Un gesto che pesa ancora oggi. “Non ci dormo la notte“, ammette Tacconi. E aggiunge che il modo migliore per stare un po’ meglio è parlarne con i tifosi, nei club juventini, per ricordare ogni giorno le vittime.
Tacconi ricorda spesso anche Gaetano Scirea, un legame fatto di differenze e rispetto. Racconta un episodio leggero, quasi liberatorio: l’unica multa presa da Scirea alla Juventus arrivò per colpa sua, perché si dimenticò di passarlo a prendere per l’allenamento. “Io ero un habituée delle multe, lui no“.
Poi il presente. Dopo l’aneurisma cerebrale del 2022, Tacconi sta meglio, continua la fisioterapia e si muove con una stampella. Guarda ancora molto calcio, anche se confessa di annoiarsi per i troppi passaggi all’indietro. Ma soprattutto ringrazia chi gli è stato vicino.
La vita, dice oggi, gli ha insegnato che ci sono cose molto più importanti. L’Heysel, però, resta lì. Una ferita aperta. E una memoria che non può, e non deve, sbiadire.