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Milan allo sprofondo: e la cosa peggiore non è nemmeno la sconfitta

Milan, è finita come doveva finire. Non per destino, ma per coerenza. La finale di Coppa Italia non ha fatto che suggellare con un timbro rosso fuoco, rosso di rabbia come le facce dei tifosi in curva, una stagione disastrosa. Un’agonia lenta, iniziata ad agosto e conclusa all’Olimpico con un’immagine che resta: i giocatori con le braccia sui fianchi, a guardare il Bologna festeggiare.

Non era il Milan di Berlusconi, e non solo perché la maglia era bianca. Quello, il Milan vincente, non c’è più. È rimasto un simulacro stanco e confuso, incapace di ottenere risultati nei momenti che contano. Per capire quanto in basso sia caduto il Diavolo basta il dato che fa più male: ottavo in campionato, fuori ai playoff di Champions, finale di Coppa Italia persa.

L’unica consolazione, la Supercoppa vinta a gennaio in Arabia, oggi sembra lontanissima e in ogni caso non serve a lenire il dolore che permea tutto l’ambiente. Ora il Milan dovrà vincere le ultime due gare di campionato per provare ad agguantare la Conference League, competizione che molti tifosi preferirebbero evitare. (continua dopo la foto)

Antonio Conte non arriverà. Ed è l’ennesima pugnalata a tifosi che per la loro passione e vicinanza alla squadra, nonostante tutte le delusioni, meriterebbero molto di meglio. Non una proprietà che la scorsa estate, quando aveva la possibilità di ingaggiare il Mister leccese, ha preferito virare su Fonseca.

Una scelta scellerata, figlia del desiderio di non avere problemi: perché Conte è esigente e ha un brutto carattere, avrebbe messo alla corda tutti. E la dirigenza del Milan sembra più orientata verso il tirare a campare, piuttosto che progettare un futuro realmente solido e sportivamente vincente. O perlomeno competitivo, visto che il Milan quest’anno non è stato nemmeno quello, mai.

Contro il Bologna la squadra è sembrata svuotata. Sembrava avesse trovato una parvenza di equilibrio nelle settimane precedenti, ma al momento decisivo si è dissolta. Due soli tiri in porta, uno buono con Jovic (che avrebbe dovuto fare meglio), e nient’altro. I migliori della stagione, Reijnders e Pulisic, non pervenuti. Leao ha fatto finta di esserci, poi si è eclissato.

Tre centravanti cambiati – Jovic, Gimenez, Abraham – senza mai trovare un’idea, una trama, un’identità. Nulla. La curva, malinconica, se n’è andata prima del fischio finale. Non c’era bisogno di altro per capire che tra questo Milan e il suo popolo ormai c’è una distanza siderale. Erano venuti a Roma per un trofeo che sapeva tanto di consolazione, ma era l’unico appiglio rimasto. Sono tornati a casa a pezzi, senza più voce. E non perché avevano urlato troppo.

Milan, i tifosi non meritano questo disastro

Il cooling break di Theo e Leao a Roma a inizio anno, in piedi come due comparse sul set sbagliato, resta simbolo di una squadra senza regole chiare, senza guida. Non si è mai saputo se quella fosse una protesta verso il primo allenatore della stagione. E la società non ha fatto nulla per chiarire, se n’è lavata le mani.

Sino ad arrivare alla vergognosa gestione dell’esonero di Fonseca, lasciato solo in conferenza stampa mentre veniva licenziato. Una cosa mai vista, inaccettabile; perché il Mister portoghese “numero uno” (poi è arrivato il secondo) avrà commesso degli errori, ma evidentemente le sue colpe erano meno gravi di quanto si pensasse. E si è sempre comportato da signore, a differenza di altri.

Conceição con il passare delle settimane ha sistemato qualcosa in difesa, ma il suo Milan è comunque spento, prevedibile, mai dominante. L’allenatore portoghese lascerà, come tanti altri. E purtroppo lo farà lasciando di sé il peggio, cioè il comportamento inaccettabile del dopo finale. Il rifiuto di indossare la medaglia, soprattutto il bruttissimo gesto del saluto negato a Calabria. Sergio non è un cattivo tecnico, anzi, ma questi episodi dimostrano che non è in grado di reggere certe tensioni.

Poi c’è il mercato di riparazione a Gennaio, che aveva acceso tante speranze ma si è rivelato pieno di errori. Joao Felix, accolto come un salvatore e sparito in un triste anonimato: gli era successo troppo spesso anche in altre squadre, e non poteva essere un caso. Gimenez, che andrà valutato nel tempo ma per ora è una delusione. Sottil, sparito. Bondo, affondato fra infortuni e panchine. Kyle Walker, acciaccato e mai entrato in sintonia col gruppo. (continua dopo la foto)

Sono mancati anche i giocatori di lungo corso che avrebbero dovuto essere i leader del gruppo: almeno uno tra Theo, Leao e Maignan, che invece in modi diversi hanno deluso. Ora nessuno è incedibile, nemmeno Thiaw o Tomori, perché dietro serve qualcuno di nuovo. Quanto a Leao, dipenderà dalle offerte (al momento inesistenti) e dal mercato. Ma è evidente come tutti questi giocatori abbiano perso molto del loro valore. Quindi il disastro è anche economico.

Ma il vero punto, il cuore del problema, è altrove: nella ristrutturazione societaria. Il Milan non funziona. Giorgio Furlani, ad del club, sarebbe chiamato a dare risposte, vere, concrete. O lui o Zlatan Ibrahimovic, o chi per loro, dovrebbero mettere ordine. Cambiare la linea di comando, riportare disciplina, fare scelte nette, anche impopolari. Invece, per ora, nicchiano: e il “casting infinito” per il Ds è diventato una barzelletta persino fra gli stessi tifosi rossoneri.

Servono soldi, ma prima di tutto serve mentalità. Quella che portava alle vittorie un Milan che ormai è disperso fra le nebbia di un passato sempre più lontano. La logica vorrebbe, appunto, almeno l’ingaggio di un direttore sportivo. Si è fatto il nome di Igli Tare, presente all’Olimpico. È stato convocato, ascoltato… poi silenzio. Niente seguito, niente firma. Così il Milan resta in attesa. Senza un progetto, senza una direzione, senza un futuro chiaro. E i suoi tifosi non meritano questo scempio.

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