
Inter, è nel silenzio che a volte si annida la verità. E il rumore del silenzio che circonda l’addio di Simone Inzaghi non può passare inosservato. Perché i social, si sa, non sono il mondo reale, ma ne sono lo specchio distorto e rivelatore. E quando, su 25 giocatori, solo in cinque trovano il tempo e il coraggio di scrivere un messaggio d’addio al proprio allenatore, il dubbio si insinua.
#Inzaghi, il rumore del silenzio social: solo 5 calciatori lo salutano dopo l'addio. #Dimarco ha dedicato al suo ex tecnico un post molto sentito, #Thuram pure. #Bisseck, #Pavard e #Calhanoglu si sono "limitati" a postare una storia su Instagram scrivendo "Grazie per tutto", pic.twitter.com/22Q5EA6kAz
— I fatti nostri (@Infofatti) June 4, 2025
Forse, in occasione dell’addio del Mister, questo silenzio è la conferma di una frattura nello spogliatoio? Il messaggio più toccante è arrivato da Federico Dimarco. Uno che con Inzaghi è cresciuto e maturato. Il suo post è una dichiarazione d’affetto fraterno: “Sei stato per me come un fratello maggiore”, scrive, ricordando quattro anni di lavoro condiviso e la conquista di quella seconda stella che resterà incisa nella storia.
A ruota, Marcus Thuram, arrivato due anni fa e grato per la fiducia ricevuta: “Un grande mister e ancora più grande uomo”. Poi il vuoto. Qualche “grazie per tutto” veloce e impersonale nelle storie Instagram di Bisseck, Pavard e Calhanoglu, e nient’altro. Il nulla.
Un grazie di tutto, in ritardo, è arrivato anche da Lautaro Martínez, il capitano. Nicolò Barella, che Inzaghi ha difeso e protetto nei momenti più turbolenti, tace. Bastoni, Sommer, Acerbi, Dumfries: tutti in silenzio. E persino Zielinski si è affrettato a condividere una foto dal ritiro della Polonia, ignorando del tutto la notizia del giorno e quella serata amara di Monaco.
Il dato non può essere ignorato. E chi conosce casa Inter sa leggere anche tra le righe non scritte. Inzaghi parlava spesso dei suoi “ragazzi”, ne faceva quasi un mantra, aprendo ogni intervista con parole di gratitudine. Ma i segnali recenti raccontano altro.
La finale di Champions League giocata (e persa disastrosamente) senza ardore, l’impressione di una squadra svuotata, e ora il dubbio che qualcosa, nello spogliatoio, si fosse incrinato. Forse gradualmente, forse per dinamiche interne sfuggite al grande pubblico.
Certo, può darsi che i saluti siano arrivati in privato, nei messaggi personali, nelle telefonate notturne. Ma chi ha vissuto l’era dei social sa che un post pubblico, specie in certi ambienti, vale più di quello che si creda: un gesto simbolico, pubblico, verificabile. i giocatori lo sanno. E quando quel gesto non arriva, può significare qualcosa.
La verità, probabilmente, resterà sepolta tra le pieghe di uno spogliatoio che ha vinto, sofferto e alla fine si è piegato alla fatica di una stagione massacrante. Inzaghi lascia dopo quattro stagioni importanti, due finali di Champions, una Serie A dominata e due Coppe Italia. Se sia poco, abbastanza o molto ognuno può giudicarlo secondo la sua sensibilità.
Forse, alla fine, l’addio di Simone Inzaghi era nell’aria da tempo. Secondo le cronache di questi giorni, il tecnico aveva già deciso mesi fa. Ma ora che è ufficiale, resta la domanda più fastidiosa: come si deve interpretare questo silenzio degli uomini che Inzaghi ha guidato sino a pochi giorni fa?
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