
A diciotto anni dall’omicidio di Chiara Poggi, il caso di Garlasco torna a far discutere con nuovi sviluppi che coinvolgono vecchi indizi. Tra questi, le famose 60 impronte digitali rilevate nella casa del delitto. Una cifra imponente, che per anni ha alimentato dubbi e teorie alternative. Ora, con l’annunciato incidente probatorio, i riflettori si riaccendono su quei segni lasciati nel tempo: possono davvero dire qualcosa di nuovo dopo tutto questo tempo? (Continua dopo le foto)

Nuove analisi su vecchi indizi
L’unico condannato per l’omicidio è Alberto Stasi, ma il suo nome potrebbe non essere più l’unico sul banco degli imputati. In questi giorni Andrea Sempio è stato iscritto nel registro degli indagati per la terza volta, con l’accusa di omicidio in concorso. Il nuovo focus investigativo punta anche a riesaminare il materiale genetico e dattiloscopico: una seconda vita per indizi già archiviati? (Continua dopo le foto)

Cosa dicono davvero le impronte
A fare chiarezza è Marzio Capra, genetista e consulente storico della famiglia Poggi. Intervistato da Fanpage.it, spiega che le 60 impronte coincidono perfettamente con quelle già repertate dal RIS nel 2007: “Nulla di nuovo”, sottolinea Capra. Solo alcune impronte erano all’epoca attribuibili con certezza, mentre le restanti erano troppo parziali o di bassa qualità per fornire elementi utili. L’attenzione odierna si concentra su tre impronte non attribuite trovate su contenitori di cartone per la pizza. Una di queste ha potenziale utilità giuridica, le altre due sono utili solo da un punto di vista dattiloscopico. Le restanti impronte sono già state assegnate: una a Chiara Poggi, quattro ad Alberto Stasi. Quelle non attribuite?
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