
Le recenti dichiarazioni di Novak Djokovic in conferenza stampa a Shanghai, in vista della sua partecipazione al Masters 1000 che vede Jannik Sinner tra i favoriti, riaccendono un dibattito annoso e fondamentale per il futuro del tennis professionistico: la densità del calendario e la conseguente necessità di una sua riorganizzazione. Il campione serbo, notoriamente attento al benessere dei giocatori e da tempo una voce critica in merito, ha sottolineato come la questione sia in discussione da almeno tre lustri.
La critica decennale di Djokovic
Djokovic non ha usato mezzi termini nel denunciare la mancanza di unità tra gli atleti, un fattore che a suo dire ostacola qualsiasi tentativo di riforma. «Già 15 anni fa dicevo già che dovevamo trovarci insieme per riorganizzare il calendario ma i giocatori non sono ancora abbastanza uniti», ha affermato, mettendo in luce una frustrazione di lunga data. Secondo il 38enne serbo, la chiave per innescare un cambiamento risiede nell’impegno dei migliori giocatori: «I migliori, in particolare, devono sedersi, rimboccarsi le maniche e impegnarsi davvero». Questo appello non è solo una critica, ma un chiaro invito alla responsabilità e alla leadership da parte di chi ha il maggiore peso contrattuale e mediatico. Sebbene il tennis sia uno sport individuale in cui le scelte personali sono sempre possibili, Djokovic lamenta la presenza di «persone che semplicemente non vogliono cambiare le cose nel nostro sport in meglio quando si tratta del benessere dei giocatori», puntando il dito contro quelle forze – probabilmente all’interno degli organismi di governo del tennis – che si oppongono a riforme volte a tutelare la salute fisica e mentale degli atleti.
L’esempio dei big e la loro assenza
L’elevato numero di impegni ha spinto lo stesso Djokovic a un approccio più selettivo, riducendo i tornei a cui prende parte. Dopo la sconfitta in semifinale agli US Open contro Carlos Alcaraz, si è concesso una pausa di quattro settimane, dimostrando con i fatti la necessità di recupero. Un esempio ancora più lampante della pressione del calendario è proprio l’assenza al Masters 1000 di Shanghai di Carlos Alcaraz. Lo spagnolo, uno dei più giovani e brillanti talenti del circuito, ha scelto di saltare il torneo per «riposare e recuperare», condividendo la preoccupazione del serbo e definendo il calendario «davvero fitto». La richiesta di Alcaraz alle autorità sportive di «fare qualcosa» rafforza la posizione di Djokovic: se persino i giocatori all’apice della loro carriera e della loro forma fisica sentono il bisogno di fermarsi e temono il sovraccarico, la situazione è oggettivamente critica.
Le regole attuali e la richiesta di impegno
Il tema delle partite in calendario è, come sottolineato, un argomento ricorrente di discussione da molti anni. Le federazioni hanno infatti stabilito delle regole precise che di fatto limitano la libertà di scelta dei migliori atleti. A partire dal 2023, ad esempio, la WTA ha imposto alle migliori giocatrici di partecipare a tutti i tornei dello Slam, a dieci tornei WTA 1000 e a sei tornei 500. Simili norme sono in vigore anche per il circuito maschile, l’ATP. Queste regole, se da un lato garantiscono la presenza dei top player negli eventi principali, assicurando spettacolarità e ritorni economici, dall’altro limitano la flessibilità nella gestione della stagione e aumentano in maniera esponenziale il rischio di infortuni e l’usura psicofisica. La critica di Djokovic si focalizza esattamente su questo nodo: la difficoltà di trovare un equilibrio tra le esigenze commerciali dello sport e la salute e la longevità agonistica dei suoi protagonisti. Il suo appello a Marin Cilic, che sarà il suo primo avversario a Shanghai, e a tutti i colleghi, non è dunque solo una lamentela, ma un forte incoraggiamento a superare l’individualismo tipico del tennis per creare un fronte comune capace di negoziare un calendario più sostenibile.
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