
Alessandro Venier, come è stato ucciso: la confessione da brividi della madre – «Quella sera c’è stata tensione. Abbiamo litigato. Prima per la cena non pronta, poi perché mi ero rifiutata di accompagnarli in aeroporto il giorno dopo». Così inizia il racconto lucido e inquietante di Lorena Venier, 61 anni, infermiera in pensione e madre di Alessandro, il 35enne trovato fatto a pezzi in un bidone ricoperto di calce. La lite avrebbe distratto il figlio, spiegano gli inquirenti. Non si è insospettito quando ha bevuto la limonata che le due donne gli avevano preparato, contenente una massiccia dose di farmaci sedativi. Quello che Lorena ha ricostruito davanti agli investigatori non è un impeto di rabbia, ma un delitto studiato nel dettaglio, pianificato settimane prima, da quando il figlio aveva annunciato di voler partire per la Colombia con la compagna e la figlia. Un viaggio che per lui rappresentava un nuovo inizio. Per la madre e per la nuora, una condanna annunciata.

Il tentativo fallito, l’insulina e il soffocamento
«Abbiamo atteso che i farmaci facessero effetto», ha detto Lorena agli inquirenti. Ma Alessandro, pur stordito, si è ripreso all’improvviso. A quel punto, la madre ha preso una fiala di insulina, sostanza di cui conosceva gli effetti, e gliel’ha iniettata direttamente in vena. Il figlio è sprofondato in un sonno profondo. Fu allora che hanno provato a soffocarlo a mani nude. Ma Alessandro continuava a respirare. A quel punto, secondo la testimonianza della donna, è stata Mailyn Castro Monsalvo, compagna della vittima, a proporre l’ultima mossa: «Ha preso i lacci delle sue scarpe e lo ha finito».

Il piano: calce, seghetto e un finto addio
Il corpo ormai senza vita è stato sezionato solo in un secondo momento. Un’operazione brutale, motivata, secondo le indagate, dalla necessità di far sparire ogni traccia. Il contesto sembrava favorevole: Alessandro aveva annunciato a tutti il suo trasferimento definitivo in Sud America, così da rendere credibile un’eventuale sparizione volontaria. «Abbiamo usato un seghetto, lo abbiamo mutilato e spostato nell’autorimessa», ha raccontato Lorena. «Poi lo abbiamo coperto con calce viva, acquistata giorni prima su Amazon. Dovevamo guadagnare tempo per spostarlo altrove», le parole della donna riportate da «Il Messaggero». Ma il piano ha cominciato a cedere sotto il peso della fragilità psicologica di Mailyn, già provata da una depressione post partum. È stata lei, giovedì mattina, a chiamare il 112 e a raccontare tutto. «Non avevamo alternative», ha sostenuto Lorena davanti al pm. «Se l’avesse portata in Colombia, l’avrebbe uccisa. Le violenze erano sempre più frequenti. Se era riuscito a ridurla in quelle condizioni con me in casa, immaginate cosa le avrebbe fatto laggiù. Bisognava salvare lei e, prima ancora, la bambina», ha aggiunto.
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