A Berlino, nella finale del Mondiale 2006, in panchina c’era anche Enrico Castellacci, attuale presidente dell’Associazione medici italiani di calcio. A distanza di 14 anni c’è un altro obiettivo, non meno importante: tornare alla normalità, anche in campo. Per farlo, però, servono protocolli sanitari che siano delle vere e proprie garanzie. Ed è lo stesso Castellacci a sottolinearlo: “Alcuni punti sono oscuri – ha spiegato a Lady Radio -. Se un giocatore è positivo la responsabilità è del medico, della società o di altri? Si tratta di un tema importante, perché si va sul penale”. E ancora: “I test e i tamponi, con relativi reagenti, ci saranno per tutti oppure intaccheranno le problematiche dei cittadini normali?”.
“I protocolli andavano inviati ai medici dei club”
Castellacci ha tanta esperienza alle spalle e sa che una situazione del genere è assai delicata, anche dal punto di vista professionale. “I protocolli – ha aggiunto – li avrei mandati direttamente ai 20 medici della Serie A per vedere se sono applicabili”. Perché se è vero che “il picco sta calando, non si potrà ripartire con allenamenti e partite con una situazione di contagio a zero. La nostra associazione è marginale, non abbiamo peso politico: ci vorrebbe più considerazione”.
La lettera dei medici: “Così non si gioca”
La posizione di Castellacci è sposata ufficialmente da 17 medici dei rispettivi club di Serie A: in calce alla lettera di 20 pagine che chiede chiarimenti, soprattutto a livello legale, mancano solo le firme dei sanitari di Juventus, Lazio e Genoa. Il documento è stato inviato alla commissione tecnico-scientifica della Figc guidata dal professor Paolo Zeppilli e di cui fa parte anche Walter Ricciardi.
Rischi penali, ma non solo. Nella lettera si sottolinea come la situazione nel Nord Italia sia ancora molto critica e il padre dei dubbi è: “Se un membro del gruppo risultasse positivo, le attività di squadra potrebbero riprendere regolarmente per chi risultasse negativo?”. Ma accanto alle domande c’è l’oggettività delle situazioni. In primis, i problemi legati alla ripresa degli allenamenti dopo uno stop così lungo. E quindi difficoltà nel rispettare il distanziamento, ma anche la sanificazione dei locali del ritiro, ristoranti compresi. Senza dimenticare il nodo tamponi, “molto complicato richiederli ad un qualsiasi laboratorio”.
Come gestire la positività di un calciatore?
I medici della Sampdoria e del Milan sono contrari alla ripresa il 4 maggio, quelli della Roma chiedono come gestire la positività di un atleta alla vigilia di una partita (“rinviata? Di quanto?”) e se il ritiro permanente sia legale. Una domanda avanzata anche dai sanitari del Sassuolo. Quelli del Lecce dicono di non sapere dove rimediare i tamponi, tema su cui si soffermano anche i colleghi del Bologna. Per il Brescia di Cellino “il protocollo non è sufficiente a tutelare la salute di staff e giocatori”. Per la Spal “il distanziamento sociale appare difficile se non impossibile”. Molte le richieste, e i dubbi, dei sanitari dell’Inter, impegnata anche in Europa.
Ripartenza sì, ma non il 4 maggio
Insomma, la posizione dei medici firmatari è chiara: ci sono troppe lacune e il protocollo, così com’è, non è applicabile. Almeno, non il 4 maggio. Senza dimenticare che molti stranieri, come Cristiano Ronaldo o Zlatan Ibrahimovic, non sono ancora tornati. I test medici dovrebbero iniziare la prossima, dai calciatori ai cuochi: dovranno sostenerli tutti coloro che andranno in ritiro. Senza dimenticare gli operatori tv, i giardinieri e le tante altre figure di contesto. Opportuno che la commissione Figc si riunisca e chiarisca i dubbi. Rodolfo Tavana, medico del Torino, da quella commissione si è dimesso perché non è stato consultato al momento della stesura del protocollo. La sensazione è che la ripresa possa slittare almeno di una settimana.