Chi segue da vicino il basket NBA sa che c’è un problema cronico con la lega cestistica più famosa al mondo: si gioca troppo a pallacanestro. Ognuno dei 30 team, infatti, è chiamato a disputare ben 82 partite durante la stagione regolare, con una media di un match ogni tre giorni: questo si traduce in infortuni, affaticamenti e in generale nella tendenza da parte degli stessi giocatori a risparmiarsi in attesa dei momenti più importanti, diciamo dall’All Star Game in poi. Questo slow start fisiologico è, ad esempio, il principale motivo per cui l’NBA ha introdotto negli ultimi anni il format della Coppa (ex in-season tournament), che serviva originariamente proprio a “incentivare” una maggior competizione in un periodo storicamente piatto.
Ora prendete tutto ciò che abbiamo appena detto e mettetelo da parte. La stagione 2025/2026 è iniziata con un’energia che non si vedeva da tempo, con grandi performance da parte dei singoli giocatori (esemplificato dalla pioggia di cinquantelli già nella settimana inaugurale) e squadre insospettabili lanciate verso le prime posizioni della classifica. I motivi possono essere diversi: il fatto che le quattro squadre giunte alle finali di Conference degli ultimi playoff (Oklahoma City, Indiana, New York e Minnesota) fossero grossomodo delle novità; di conseguenza, la dimostrazione che nella NBA attuale c’è anche spazio per gli small markets e che l’era dei super team volge al tramonto. Insomma, al netto di fisiologici favoriti, l’idea che (quasi) chiunque può dire la sua potrebbe aver spinto molte squadre a partire forte sin da subito. Dall’altro lato della medaglia, molte squadre sono già rimaste indietro nella corsa ai play-off, a volte per un sistema inefficace e, in altri casi, per problemi interni al roster.
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Le sorprese (belle) di inizio stagione
Ecco cosa è successo di positivo fino ad ora.
Sono tornati i Detroit Pistons
Detroit è una franchigia storicamente poco intrigante, che solo due anni fa ha stabilito il record di sempre per il maggior numero di sconfitte consecutive. Detroit è una città con poche stelle luminose, dove non si gioca un basket spettacolare ma ci si affida molto spesso alla fisicità e ai muscoli. Detroit, al momento, è la miglior squadra della Eastern Conference.
Quella dei Pistons è una bella storia soprattutto perchè non cela nessun miracolo dietro di essa: fidandosi dell’unica stella della squadra, Cade Cunningham, il front office ha costruito con pazienza un roster funzionale prima che bello da vedere, dove ogni elemento sta trovando modi e tempi per svilupparsi con coerenza. Non c’è stato nessun acquisto flashy, ma solo un grande lavoro di consapevolezza su ciò che si aveva in mano e su come farlo rendere al meglio. Cade Cunningham sta viaggiando a medie da MVP, Jalen Duren è in odore di primo All-Star Game e Ausar Thompson è già considerato uno dei più temibili mastini della lega. Il Detroit Basketball non sarà bello nel senso canonico del termine, ma è decisamente entusiasmante.
Philadelphia 76ers: meno peggio del previsto
Prima dell’inizio della stagione, quasi pensavano che i Philadelphia 76ers avrebbero tankato senza troppi scrupoli: del resto, due dei tre giocatori più pagati sono perennemente infortunati, e resta il solo Tyrese Maxey a fare da guida. Invece, l’assenza di Joel Embiid e Paul George si è quasi rivelata provvidenziale: Maxey sta tenendo medie da candidato all’MVP e il rookie VJ Edgecombe si è rivelato un giocatore molto più pronto del previsto, distinguendosi nettamente come il migliore degli esordienti fino a questo punto. Le lacune di un roster molto scoperto restano, ma le premesse sono decisamente migliori del previsto. Resta da capire cosa fare con Joel Embiid e Paul George: il primo, soprattutto, è apparso decisamente inadatto nelle porzioni di partita che ha giocato sino ad ora.
Victor Wembanyama è un mostro
Ok, il talento di Wembanyama non è mai stato oggetto di discussione. Ok, la già famosa estate violenta aveva già fatto presagire ulteriori miglioramenti da parte del giocatore francese. Ma nessuno si aspettava un impatto del genere: Victor Wembanyama sta facendo vedere cose che non hanno semplicemente senso da parte di un giocatore con quell’altezza. La sua capacità di palleggio e di controllo del pallone, abbinate ai suoi 2 metri e 26 centimetri, lo rendono un profilo via via scevro di punti deboli: ci chiediamo sinceramente fino a dove potrà ancora spingersi un giocatore che sembra più che mai costruito per riscrivere le regole della pallacanestro.
C’è vita sul pianeta Portland
La situazione a Portland è sempre stata precaria, ma da quando Damian Lillard se n’è andato è precipitata nel disastro. Le flebili speranze di ripresa intraviste nello scorso anno, però, si stanno lentamente trasformando in solide certezze in questa stagione: Toumani Camara avanza a grandi passi verso il livello di difensore d’élite, Shaedon Sharpe sta diventando il giocatore che prometteva di essere appena entrato in NBA e Deni Avdija non sembra così lontano dal suo primo All-Star Game. Del resto, aver inferto l’unica sconfitta stagionale agli Oklahoma City Thunder non può qualcosa che succede per caso.
Le sorprese (brutte) di inizio stagione
Ecco invece il peggio della stagione fino ad ora.
Non esiste Indiana senza Haliburton
Che gli Indiana Pacers avrebbero fatto molta fatica senza Tyrese Haliburton era di certo prevedibile. Lo era decisamente meno il fatto che fossero al penultimo posto della Eastern Conference a quasi un mese dall’inizio del campionato. La squadra, senza il suo leader maximo, fa decisamente fatica a ingranare in attacco, mentre l’assenza di Myles Turner lascia gli avversari di turno liberi di attaccare il canestro senza eccessiva difficoltà.
Cooper Flagg ha bisogno di tempo
Fino ad ora, l’esordio di Cooper Flagg in NBA ha molte più ombre che luci. Diversi rookie si stanno mettendo in mostra in maniera molto più efficace della prima scelta all’ultimo Draft NBA, che forse sta pagando un contesto che è allo stesso tempo caotico e affamato di risultati. Anche la scelta di Jason Kidd di farlo giocare fuori posizione non ha presentato i dividendi sperati, finendo solo con l’aumentare il numero di palle perse dell’ex-Duke. I rookie hanno quasi sempre bisogno di tempo, ma a tratti Flagg è sembrato più in difficoltà del previsto: la buona notizia è che sembra stia imparando velocemente a rimediare ai propri errori, ma solo il tempo ci darà una risposta.
È finita tra Ja Morant e Memphis?
Ja Morant sembra ormai essere l’ombra del giocatore che solo tre anni fa terminava al 7° posto nella lista dei voti per l’MVP. Il suo gioco non si è mai evoluto e, anzi, in questa stagione è visibilmente regredito. La tristemente nota partita contro i Lakers – dove ha giocato esplicitamente per sabotare il suo team – ha inasprito ulteriormente una situazione già aggravata dalle bravate extra campo. Ora, una netta frattura tra la star e il suo allenatore sta destabilizzando lo spogliatoio. Sembra che il futuro di Ja Morant sia ormai lontano da Memphis: se i dubbi sulla sua destinazione, tra un valore in decrescita e un contratto scomodo – sono tanti, quelli sulla sua possibile ripresa come il giocatore che prometteva di essere nel 2022 sono molti di più.