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Adriano, l’ex Inter si confessa a cuore aperto: “Io, il più grande spreco del calcio”

Il passato all’Inter e in Italia, una sensibilità estrema unita all’incapacità di controllare impulsi e dipendenze, una sconcertante purezza nell’ammettere i propri limiti e i propri errori. E anche una confessione insolita ai nostri giorni: quella di cercare prima di tutto la pace, interiore ed esteriore.

Tutto questo emerge in una toccante lettera rivolta da Adriano Leite Ribeiro, noto semplicemente come Adriano, alla favela di Vila Cruzeiro, dove è nato e dove vive tuttora. L’”Imperatore”, com’era soprannominato, ripercorre le tappe della sua vita con dichiarazioni crude, sconcertanti e commoventi.

L’ex attaccante brasiliano, oggi 42enne, si confessa a cuore aperto, raccontando della sua infanzia, del rapporto con il padre scomparso, dei tormenti vissuti durante la sua permanenza all’Inter e della sua battaglia con l’alcol. Adriano inizia con una riflessione spietata su se stesso e sul peso dell’essere una promessa incompiuta.

“Tu lo sai cosa significa essere una promessa? Io sì. Compreso essere una promessa mancata. Il più grande spreco del calcio: io. Mi piace questa parola, spreco. Non solo perché suona bene, ma perché mi piace un sacco sprecare la vita. Sto bene così, in un frenetico spreco. Sì, bevo tutti i giorni, spesso anche nei giorni in cui non bevo. Perché? Non è facile essere una promessa rimasta incompiuta”.

Tra i passaggi più intensi, Adriano rievoca il legame con il padre Mirinho, la cui perdita lo segnò profondamente. “Lui non sopportava di vedere qualcuno con un bicchiere in mano, figuriamoci i ragazzini. Mi ricordo la prima volta che mi ha beccato con una birra a 14 anni. La sua reazione? Togliere la dentiera e metterla dentro il mio bicchiere. Che personaggio. Mi manca tantissimo…”.

Il primo inverno all’Inter

Arrivato all’Inter da giovanissimo, Adriano descrive il trauma del trasferimento e la nostalgia per la sua Rio de Janeiro. “Quando sono andato all’Inter, il primo inverno mi ha distrutto. Era Natale e io ero da solo. Seedorf mi invitò a una cena bellissima, ma non bastava. Tornai a casa, chiamai mia madre e lei mi disse: Qui manchi solo tu. Presi una bottiglia di vodka e piansi tutta la notte“.

Il capitolo finale della sua esperienza in Italia è quello della “fuga” dall’Inter, un gesto che fu interpretato da molti come il culmine del suo fallimento. Adriano, invece, lo definisce il passo necessario per ritrovare se stesso.

“Quando sono scappato dall’Inter e me ne sono tornato qui, nessuno mi ha trovato. La stampa italiana era impazzita, dicevano che ero stato rapito. Ma dai, scherzi? Qui è la mia casa. Non ce la facevo più in Italia, era troppo. Dovevo sempre guardarmi attorno, chi c’era, chi mi seguiva. Ho pianto sulla spalla di Moratti, ho cercato di seguire Mourinho, ma non riuscivo a fare quello che volevano”.

Nella favela, Adriano ha ritrovato un equilibrio che gli mancava: “Qui posso andare in giro scalzo, giocare a domino, ascoltare musica. Vedo mio padre in ogni vicolo. La Vila Cruzeiro non è il miglior posto al mondo. Ma è il mio posto“.

La lettera di Adriano è un viaggio tra rimpianti, fragilità e un desiderio di pace che solo la sua comunità gli ha saputo offrire. Il suo racconto è una finestra sull’animo tormentato di uno dei talenti mancati più straordinari e controversi della storia del calcio.

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