
Rino Gattuso non era la prima scelta per la Nazionale e a dire il vero non lo è mai stato, in nessuna fase della sua carriera. A sottolinearlo in una lunga analisi è Fabio Licari sulla Gazzetta dello Sport. Eppure il nuovo Ct dell’Italia ci è abituato: da mediano a uomo di fatica, da spalla dei fuoriclasse a simbolo di sacrificio.
🧐#Gattuso, non solo ringhi e difesa. E quell'attestato di stima di #LuisEnrique https://t.co/jcCyiMLdCU
— Corriere dello Sport (@CorSport) June 19, 2025
Ora tocca a lui, con il compito di riaccendere la scintilla di un gruppo azzurro smarrito dopo il disastro di Oslo. Diffidenza? Certo. Ma peggio di così, onestamente, non si può fare. Gattuso lo conosciamo bene: non era nato genio, ma sapeva mettersi in tasca i geni con pressing, muscoli e forza di volontà.
Da ragazzo partì in Scozia per fuggire dagli alibi di casa, poi ha preso appunti e si è costruito una reputazione in panchina: meno prevedibile di quanto fosse da giocatore. Lo hanno visto cambiare moduli, passare da schemi elaborati a partite giocate di puro spirito. Ora da ct avrà meno tempo per formule e più urgenza di motivare: tre allenamenti, due pacche sulle spalle, e via verso l’America.
Il passato recente non aiuta: la peggior Italia degli ultimi anni si è inchinata a una grande Norvegia, in un contesto sbagliato e con la paura di fallire. Spalletti ha pagato per tutti, ma forse la sconfitta era scritta. Tocca a Gattuso, con la sua faccia da emigrante di terza classe, guidare la spedizione tra dolori, sudore e un traguardo che non si può mancare all’orizzonte.
Il suo maestro è stato Marcello Lippi, uno che sapeva quando tagliare un giocatore anche a costo di sbagliare, per difendere il gruppo. Gattuso deve ripartire da lì: “Ragazzi, ho vestito questa maglia prima di voi. Le scuse non valgono più. Se qualcuno ha altre idee, lo dica subito o taccia per sempre”. Sarebbe questo il discorso giusto nella sua prima uscita da ct. Meno lavagna, più faccia a faccia. (continua dopo la foto)

La differenza tecnica tra la Nations League e la disfatta in Norvegia è un mistero che si spiega solo con una squadra finita fisicamente e mentalmente. Ma adesso servono meno chiacchiere tattiche: serve un ct mediano, di spinta e di cuore. Tonali, Barella, Donnarumma, Chiesa, Calafiori, Bastoni: qualità europea c’è.
Mancano fenomeni alla Yamal o Bellingham? Vero. Ma ci siamo spesso cavati bene anche senza, quando avevamo almeno un Gattuso a guidarci. Oggi, quel Gattuso siede in panchina: convinca tifosi, critici e giocatori che si può ripartire, a costo di sbagliare. E stavolta, senza geni, ma con tanto sudore.
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