In pochi avrebbero pronosticato la vittoria finale dei Toronto Raptors delle Finals NBA 2019, eppure così è stato. Con buona pace dei sorprendenti Milwaukee Bucks e dei titolatissimi Golden State Warriors, sconfitti in finale con un sonoro 4-2 che non lascia spazio a repliche. In compenso le polemiche non sono mancate, soprattutto per il caso Kevin Durant. Il trentenne campione della franchigia californiana era tra i più attesi delle Finals, e si sperava che il suo ritorno dall’infortunio potesse essere l’arma in più per la vittoria finale. Così non è stato, come noto. Ma al danno si è unito un danno ulteriore, quello della rottura del tendine d’Achille che ora potrebbe cambiare il futuro… della squadra e del giocatore.
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Maledetta Gara 5
Lo stiramento al polpaccio patito durante la Gara 5 delle Semifinali di Conference contro Houston sembrava poca cosa. Il suo percorso di recupero sembrava preludere all’ennesima splendida storia di sport, con il rientro del fuoriclasse in tempo per portare la propria squadra alla vittoria. Ma oggi sono in molti – da Charles Barkley in giù – a urlare che quel rientro non s’aveva da fare. E che la fretta nell’inseguire la favola ha comportato un rischio del quale ora si pagheranno le conseguenze. La Gara 5 – di nuovo! – delle Finals contro Toronto (che in quel momento i Warriors stavano perdendo per 3-1) ha visto Durant in campo per pochi minuti… Dodici, nei quali è riuscito a mettere a segno undici punti e due rimbalzi, e a infortunarsi definitamente rompendosi il Tendine d’Achille.
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La prima reazione è stata nei confronti del pubblico, almeno di quella parte che ha applaudito all’uscita dal campo dell’infortunato KD. Un atteggiamento antisportivo che ha scatenato l’ira di molti altri giocatori dell’NBA, dal centro di Philadelphia Joel Embiid e Bobby Portis di Washington, a Kelly Olynyk di Miami, Kevin Love di Cleveland e Trae Young degli Hawks. Sul campo gli stessi Raptors, Kyle Lowry su tutti, hanno invitato i loro tifosi a fermarsi. “È una gran persona, non è giusto – aveva dichiarato a caldo il suo General Manager Bob Myers, prima di saperne abbastanza. – Non credo ci sia nessuno da incolpare, ma se proprio dovete, date a me la colpa. Kevin ama giocare a basket, e chi aveva dubbi sulla sua voglia di tornare con la squadra si sbagliava”.
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I precedenti preoccupano
“Ci ha dato quel che aveva – ha chiosato il compagno Stephen Curry. – È sceso in campo e si è sacrificato“. Un sacrificio che ora potrebbe costare a Durant un anno di lontananza dai campi, almeno a vedere alcuni precedenti simili (quello di DeMarcus Cousins, tornato dopo un anno, e quello del trentaquattrenne Kobe che nel 2013 ci mise circa otto mesi). E forse un ritorno sotto tono, come in molti dei precedenti. Lui per ora manda messaggi positivi dal suo letto d’ospedale, come quello diffuso il 12 giugno su Instagram subito dopo l’operazione (definita “un successo”): “Il basket è il mio più grande amore e volevo esserci quella sera. Ora inizia il mio cammino per tornare. Con i miei cari accanto e i messaggi e il supporto della gente”.
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Futuro assicurato dopo l’operazione
Tornare, ma dove? Chi potrebbe voltare le spalle a un giocatore come Durant, ma quali saranno le squadre che potranno permettersi di aspettarlo? Los Angeles Lakers, Los Angeles Clippers, Brooklyn Nets e New York Knicks erano alla finestra, ma ora? Probabilmente continueranno a essere interessati, visto il valore di un tale campione. E piuttosto che aspettare e rispettare l’ultimo anno di contratto a Golden State, potremmo vederlo rinegoziare un accordo di quattro o cinque anni (tra i 160 e i 220 milioni di dollari) con una delle franchigie suddette, Warriors compresi. La macchina dell’NBA non si ferma, d’altronde lo spettacolo deve continuare…
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