A pochi giorni dal 40° anniversario della vittoria bianconera nella Coppa Intercontinentale del 1985, la storia sportiva di Stefano Tacconi si intreccia con il racconto di una rinascita personale. A Tokyo, l’8 dicembre di quarant’anni fa, l’ex portiere della Juventus fu decisivo nella vittoria ai rigori contro l’Argentinos Juniors. Oggi, dopo un ictus che nel 2022 lo ha portato a un passo dalla morte, Tacconi torna a parlare del suo percorso e di quegli anni iconici in un’intervista a La Repubblica, toccando anche il tema della scomparsa di Diego Armando Maradona.
Il malore del 2022 e il lungo percorso di recupero
Il 23 aprile 2022 ha segnato una frattura netta nella vita di Tacconi. Dopo una giornata trascorsa ad Asti per un evento benefico, un malore improvviso lo costrinse a un ricovero d’urgenza: un’emorragia cerebrale provocata dalla rottura di un aneurisma. Da quel momento si è aperta una fase durissima, fatta di operazioni, terapie e riabilitazione.
Tacconi ricorda quella giornata con la consueta franchezza: “Ho visto la morte in faccia”, ha raccontato più volte. Oggi affronta una riabilitazione meno intensa — solo due sedute di fisioterapia alla settimana — segnale di un miglioramento costante, anche se conquistato passo dopo passo.
“Non ricordo quasi nulla dell’ictus”: la nuova vita e i nuovi obiettivi
Nell’intervista, Tacconi ammette che della fase più critica — l’ictus e il coma — non conserva quasi alcun ricordo. La memoria gli restituisce solo frammenti, mentre il resto è affidato ai racconti dei familiari e dei medici. La metafora calcistica, però, resta la sua cifra: “Ho vinto un’altra partita ai rigori, o almeno spero”.
Il suo nuovo obiettivo è chiaro: camminare senza bastone. Anche Michel Platini, incontrato pochi giorni fa alla Continassa insieme ai protagonisti della Juve dell’85, lo ha scherzosamente spronato. Un incoraggiamento che Tacconi vive come una sfida personale.
Il ricordo di Tokyo e il legame speciale con Maradona
Tacconi ripercorre anche le pagine della sua carriera, a partire dalla notte di Tokyo 1985, segnata dalle due parate ai rigori che consegnarono alla Juventus la Coppa Intercontinentale.
E, parlando di argentini, il pensiero non può non andare a Diego Armando Maradona, che l’ex portiere definisce senza esitazioni “il più grande”. Meno di un mese prima di quella finale, il 3 novembre 1985, Maradona gli aveva segnato uno dei calci di punizione più celebri della storia, una traiettoria impossibile che decise Napoli-Juve. Tacconi lo ricorda con orgoglio: “Fu un onore prendere un gol del genere. Dopo quarant’anni se ne parla ancora: siamo diventati immortali insieme”.
Il rapporto tra i due, ricco di stima e provocazioni, era fatto di sfide e di rispetto reciproco. Durante la Supercoppa Italiana del 1990, ricorda Tacconi, gli gridò di smettere di infierire con il Napoli ormai in vantaggio: “Lui mi rispose con un sorriso. Io lo minacciavo e lui rideva”.
“Lo hanno lasciato morire solo”: il duro giudizio sulla fine di Maradona
Le parole più amare Tacconi le riserva alla morte del fuoriclasse argentino. Secondo lui, Maradona “è stato lasciato crepare solo come un cane”, senza l’affetto e l’attenzione che meritava, nonostante le sue fragilità e responsabilità personali. Una fine che l’ex portiere mette in netto contrasto con la sua esperienza: “Quando sono stato male io, tutti i miei cari mi sono rimasti vicini”.