
Un campo da basket non è solo un rettangolo con due canestri. Per chi lo vive per decenni, è casa, è sfida, è complicità. Su quel parquet, le ginocchia bruciano e i sogni si costruiscono a colpi di rimbalzi e tiri in sospensione. Chiunque abbia frequentato le palestre italiane dagli anni Settanta in poi, ha sentito pronunciare quel soprannome: “il Marine”. Una definizione che non era solo estetica, ma raccontava una mentalità, una forma di presenza.

Tra un canestro e un’intervista, tra il parquet e la scrivania, Marco non ha mai lasciato davvero il suo mondo. Lo si poteva vedere sorridere in TV accanto a Franco Lauro, discutere con passione dei giovani talenti, oppure salutare vecchi compagni di squadra con un abbraccio largo e diretto. Il basket, per lui, era vita: da giocatore, dirigente, commentatore Rai, presidente di Lega. Fino all’ultimo, anche quando la salute ha cominciato a cedere.
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